“Per fronteggiare la corruzione serve ripartire dai valori fondanti della nostra Costituzione”. Questa la cura contro il dilagare del fenomeno secondo Francesco Giannella, Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Bari, Coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia e già Pubblico Ministero ad Andria e a Trani, dove, da Procuratore capo reggente, ha coordinato anche l’indagine relativa al disastro ferroviario del 12 luglio 2016.
Insegnante per un giorno della Scuola di Democrazia, la scuola di formazione all'impegno Sociale e Politico e di educazione alla partecipazione, organizzata dall’associazione “Cercasi un fine” onlus, dall’Ufficio socio-politico dell’Azione Cattolica diocesana, dal locale Osservatorio per la legalità e per la difesa del Bene Comune ed in collaborazione con “In Città”, Giannella ha esaminato la situazione della corruzione in Italia evidenziandone le cause ed i possibili rimedi nella sesta lezione intitolata “La corruzione - C’è ma non si vede”, tenutasi sabato 7 aprile presso il Bastione adiacente alla Concattedrale. “Sono qui per portare la mia esperienza ultratrentennale in materia di corruzione” esordisce il magistrato.
È corretto dire che ci siamo assuefatti all’idea di corruzione come male necessario, inteso come “favore” per raggiungere un determinato risultato?
“È uno degli aspetti più complicati da affrontare. In questo Paese, in cui ormai la corruzione sembra essere diventata un fatto ineludibile, la gente è convinta si tratti di un dato di fatto di fronte al quale non si può combattere. E questo impone una rivisitazione culturale e morale che va al di là delle leggi e dell’inasprimento delle pene. Occorre rifondare una coscienza civica”.
A questo proposito quale ruolo possono avere i modelli tradizionali come la famiglia e la scuola nella formazione e maturazione dei ragazzi?
“Il loro ruolo è enorme. Talmente importante che i centri di formazione, siano essi la famiglia, le scuole o le università, probabilmente sono stati volutamente disarticolati dal sistema della corruzione. È talmente evidente che questo è il primo baluardo che chi ha voluto imporre al Paese un sistema corrotto ha pensato prima di tutto a smantellare il sistema educativo”.
Quali potrebbero essere le iniziative per tornare sulla retta via?
“Io e miei colleghi cerchiamo di portare nelle scuole il contributo di chi ha lavorato in questo campo. Cerchiamo di dare delle informazioni, delle idee ed anche di incoraggiare i giovani a combattere il fenomeno della corruzione nel quotidiano. Naturalmente noi gettiamo semi, che devono però cadere su un terreno fertile. Se il terreno fertile manca, non c’è molto da fare. Ho ancora qualche speranza, però dobbiamo essere in tanti a volerlo, soprattutto quando prendiamo delle decisioni, quando scegliamo i nostri amministratori, chi ci deve rappresentare. Dobbiamo iniziare a ragionare non più con la logica di chi ci conviene votare, ma chi è meritevole di essere votato”.
Quale quindi la possibile ricetta anti-corruzione?
“Certamente l’inasprimento delle pene o un sistema penalizzante non è la cura per avere la meglio su questo fenomeno. Le ricerche fatte in tutto il mondo dimostrano che i paesi meno corrotti sono quelli in cui c’è una maggiore spontaneità nell’adesione al principio della legalità. I paesi più corrotti sono quelli in cui la norma viene violata sempre, anche quando c’è l’esenzione dalla pena. Non è la pena che spaventa. Quindi non è questa la medicina. La medicina è una crescita morale del Paese. Chi può farlo crescere nuovamente, è difficile saperlo. Sotto questo aspetto non mi sento un interlocutore ideale perché io sono semplicemente un pratico. Però noi possiamo fare qualcosa per togliere dalle radici della malapianta della corruzione il terreno fertile. Qual è il terreno fertile? Per esempio la burocrazia complicata, le norme numerose e contraddittorie, l’inefficienza dell’amministrazione, l’inefficienza della burocrazia. Queste sono cose che vanno combattute perché sono uno strumento utile per chi vuole un sistema di corruzione”.
Nella lotta contro questo fenomeno in che modo l’Italia potrebbe essere aiutata dall’Europa nell’armonizzazione delle norme?
“Sinceramente è una domanda alla quale attualmente non so rispondere. Non so fino a che punto possa servire l’aiuto altrui. Noi dovremmo iniziare a ragionare sempre in termini di riproposizione dei nostri valori fondanti. Noi i valori li abbiamo, sono scritti nella nostra Costituzione, ma sono passati tanti anni ed alcuni articoli non sono neanche conosciuti, non solo dai cittadini comuni, non solo dai giovani, ma anche da chi è entrato per esempio in politica o nella pubblica amministrazione. I valori ci sono ed i nostri padri costituenti li avevano, li hanno messi per iscritto. Cosa ce li ha fatti perdere sarebbe importante scoprirlo”.
In che misura, invece, sente percepita dalla società civile la sua figura di magistrato impegnato nella lotta alla corruzione?
“In generale sento molta attenzione ed anche notevole incoraggiamento da parte della società civile nei confronti dell’azione della magistratura. Però il compito dei magistrati non è quello di rifondare eticamente la società ma accertare i reati e punire i colpevoli. Possiamo anche comunicare le nostre esperienze. Spetta poi a qualcun altro far sì che soprattutto i giovani crescano con la fiducia di vivere in questo Paese. Manca il lavoro e manca anche e soprattutto la loro fiducia nelle istituzioni. Oltre all’azione della magistratura ci vuole qualcos’altro che deve partire dal basso, anche dalle associazioni che promuovono l’approfondimento politico”.
Assieme a Rocco D'Ambrosio, professore ordinario di Filosofia Politica della Pontificia Università Gregoriana di Roma, docente di Etica della Pubblica Amministrazione presso il Dipartimento per le Politiche del personale dell’amministrazione del Ministero dell’Interno e direttore della Scuola di Democrazia, lei è autore del libro intitolato “La corruzione: attori e trame”. Sotto quale aspetto quest’opera differisce dalle altre aventi ad oggetto la medesima tematica?
“La novità è l’incontro di due persone che provengono da esperienze totalmente diverse. Un sacerdote ed un magistrato che affrontano il problema della corruzione da due punti di vista diversi. Due persone che, pur partendo da esperienze naturalmente differenti, si sono ritrovate a fare riflessioni simili. A quel punto hanno deciso di metterle per iscritto e di comunicarle agli altri, sperando di dare un piccolo contributo al miglioramento di questa società”.
Questo il parere di Francesco Giannella, impegnato da anni nella lotta ai reati contro la pubblica amministrazione. Un fenomeno subdolo quello della corruzione, al quale l’esperto magistrato cerca di porre una soluzione ritornando ai valori fondanti della Costituzione.
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