Ancora un segno della "depalmizzazione" del governo cittadino
Che autoreferenzialità e demagogia costituisse il marchio di fabbrica di Depalma era ben noto da qualche tempo, ma che potesse enfatizzare l’assolutezza del suo potere fino a tal punto, francamente, non l’avremmo, giammai, immaginato. Questa mia considerazione mi viene dopo aver appreso da un notiziario locale on line che la Giunta, con proprio atto deliberativo, ha avanzato al Presidente della Repubblica, per il tramite del Ministero degli Interni, il riconoscimento del titolo di ″Città″, a norma dell’art.18 del D.lgs. 18.08.2000, n.267. L’annuncio, di primo acchito, è apparso del tutto corrente, considerato che diversi Comuni, in questi anni, si sono attivati per ricevere tale titolo.Tuttavia, consultando il carteggio della delibera giuntale n.67 del 20 aprile scorso, traspare chiaramente che l’iniziativa per un tale riconoscimento è da attribuirsi esclusivamente alla smania vogliosa del Sindaco che, già a dicembre 2016, ha prodotto una formale domanda al Viminale. Il Dicastero medesimo, poi, per poter fare una valutazione di merito, ha richiesto una puntuale ricognizione circa l’attuale importanza del territorio sotto l’apetto economico e la specifica anche della presenza di uffici pubblici, insediamenti industriali e commerciali. Si scopre così che Depalma con un suo atto d’imperio, in data 19 dicembre 2016, aveva già rivolto, secondo il T.U. dell’Ordinamento degli Enti locali, la petizione per il riconoscimento del titolo di ″Città″ per Giovinazzo, corredandola con una scheda documentaria di memorie, testimonianze storiche e di attualità socio-culturale ed economica, fatta redigere dal Segretario Comunale e dal Funzionario dell’Ufficio Cultura. E’ fuor di dubbio che la mossa di Depalma di potersi gloriare, perfino, di aver conseguito tale riconoscimento, ancorchè del tutto simbolico, risponda a reali esigenze propagandistiche a scopo elettoralistico. Potersi vantare di quest’altra pomposa rivendicazione di annoverare Giovinazzo nell’elenco delle “Città” d’Italia e sostituire la corona riposta sullo stemma cittadino con quella muraria turrita tipica delle comunità con il titolo di ″Città″, potrebbe impressionare favorevolmente chicchessia, specie se non ha una minima cognizione di storia patria.
Corona muraria turrita per il titolo di " Città "
Diversi sono gli indizi che mi inducono a tale convincimento e non solo per la modalità procedurale da lui messa in atto nel dare applicazione al dispositivo normativo in materia di onoreficenze pubbliche. Infatti, alla nota con cui gli è stato richiesto dal Ministero di integrare l’istanza del 19 dicembre 2016 con altri elementi a significazione della attuale importanza del centro cittadino, indispensabile per l’attribuzione del titolo di ″Città″, Depalma, ancora una volta, ha ritenuto bastasse una sua concisa relazione, datata 7 febbraio u.s., senza alcun atto deliberativo ad esprimere la volontà dell’Ente in tal senso. Adempimento, però, che gli è stato subito richiesto perché la concessione del beneficio onorofico di ″Città″ potesse essere sottoposta alle dovute veriche ministeriali. Pertanto, solo dopo questo sollecito, il Sindaco si è visto costretto a interessare la Giunta e a fare adottare celermente la deliberazione con cui si manifesta la decisione politica di ottenere per Giovinazzo il titolo di ″Città″ da parte del Presidente della Repubblica.
E’ pur vero che una tale onoreficenza, nella contemporaneità, è priva di ogni valore, non comportando vantaggi o benefici di alcun genere, ma certamente potrebbe rivelarsi per la comunità civica da stimolo ad avere un più spiccato senso d’identità storico-culturale e, al tempo stesso, significare un rinnovato impegno al perseguimento dei valori di solidarietà politica, economica e sociale, preordinati al progresso non solo materiale della cittadina. Per la qual cosa una decisione di tal genere avrebbe dovuto essere propria dell’Assemblea consiliare che ha la rappresentanza democratica dell’intera cittadinanza. Il senso dell’Istituzione, però, non rientra nella comprensione politica di Depalma che crede di poter fare tutto da solo; l’intervento decisionale del Consiglio Comunale gli avrebbe impedito di accampare il prestigioso riconoscimento a suo esclusivo merito.
Sta di fatto, comunque, che l’ultima sua esposizione del 7 febbraio, a esplicazione dei fattori dell’attuale situazione economico-sociale del nostro centro, non aggiunge altre argomentazioni alla precedente relazione allegata alla originaria petizione, per cui non è in alcun modo certo che il titolo di ″Città″ possa essere assicurato al nostro Ente. Forse avrebbe sortito maggiore efficacia invocare tale concessione per “antico diritto”, potendo accampare il nostro Comune riconoscimenti di rilievo e anche privilegi regali elargiti in diverse traversie storiche.
Alla fine del primo millennio, infatti, diversamente da oggi, il titolo di “CIVITAS” per una località urbanizzata doveva avere un significato di estrema importanza, ancorché non si abbiano notizie di quali elementi e aspetti (territorio, abitanti, possedimenti, forza militare) venissero a considerazione per un tale riconoscimento. A questo riguardo, preme rammentare i termini usati per gli insediamenti umani sui territori: all’“urbs” con cui i latini identificavano un agglomerato urbano, si definiva “locus” quello di campagna, o meglio“pagus” villaggio, mentre il termine “oppidum” o “castrum” si riservava per un presidio fisso militare o meglio a un abitato fortificato. La “Civitas”, pertanto, sottintendeva un concetto molto più elevato nel senso che censiva un’entità strutturata e ben organizzata di soggetti con regole amministrative e di governo che davano una caratterizzazione storico-culturale alla comunità, fattori che ebbero a specificarsi nel modello istituzionale della “Res pubblica”.
Ebbene, la prima identificazione di Giovinazzo come “Civitas” è rilevabile dalla Bolla di Pandone nel 951, per mezzo della quale, in occasione del quarantesimo anno dell’Impero di Costantino VII Porfirogenito, l’Arcivescovo di Bari, Giovanni, concesse poteri eccezionali sulla chiesa di San Felice, al chierico greco Pandone, figlio di Cinnamo, spatario e giudice imperiale di Giovinazzo (all’epoca la fascia costiera adriatica era parte dell’impero d’Oriente sotto Bisanzio).
L’attestazione, dunque, sin dalla fine del I Millennio, di “Civitas”, riguardo a Giovinazzo, viene, infatti, proprio dalla qualifica, riservata in quella lettera, a Cinnamo definito, appunto, con il seguente titolo “imperialis spatha quondam et iudex in Civitate Jubenatie”. L’accezione del termine in questione, poi, è altresì confermata per la proprietà della firma in calce dell’estensore dell’atto, il notaio “subdiaconus Leo in Civitate Barii”.
Il documento di particolare interesse per la storia cittadina, riportando il chierico Pandone, come preposto alla guida della cristianità a Giovinazzo, è stato oggetto di riserve e contestazioni da parte dei vari storiografi, e ciò non solo per la procedura con cui è data l’investitura per opera di un Vescovo metropolitano, ma soprattutto per l’imprecisione della data. Detta lettera d’investitura, comunque, andò distrutta nell’incendio della chiesa di San Felice nel 1691, si conservava solo una riproduzione, redatta dal canonico Sante Tomeo, presso l’archivio di quella Chiesa, poi trasferito, insieme al collegio ecclesiastico ivi esistente, nella Chiesa di San Domenico, in seguito alla vendita del sacro edificio al Comune alla fine dell ’800 (Cf. Sac Filippo Roscini, Storia della Sede Vescovile di Giovinazzo, Giovinazzo 1964, pagg.65-66).
A significare l’attestazione di “Citta” per Giovinazzo vi è un altro fatto storico di grande rilievo che portò a insignire lo stemma civico con la corona regia mediante un privilegio concesso, nel 1461, dal sovrano Ferrante I d’Aragona, succeduto al padre Alfonso (detto il Magnanimo) del casato degli Aragonesi, morto nel 1458. Tanto meritò la popolazione che, fedele al sovrano del Regno di Napoli, ebbe a resistere strenuamente ai cruenti attacchi sferrati dal Principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, potente barone del reame, che voleva impossessarsi delle città rivierasche e che la notte di Natale del 1459 connoneggiò la nostra città aprendo grossi squarci alle mura urbiche. Da quel dì, in segno di fedeltà e lealtà del popolo al suo sovrano, l’Apostolo San Tommaso, effigiato nello stemma cittadino, porta nella mano destra, a metà alzata, la corona d’oro all’antica, in sostituzione del ramo della palma, come in precedenza raffigurato (Cf. Fondo S. Martino, presso la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, n.725, Volume “Grazie e Benefici”).
Non è meno importante un altro avvenimento, più vicino ai nostri tempi, che nel 1780 consentì alla città di liberarsi dalla signoria della famiglia, d’origine genovese, dei del Giudice che l’aveva acquistata nel 1639 dai signori di Guastalla. Dietro pagamento di 22.456 ducati e grana 44, versati al Sovrano a Napoli, Giovinazzo acquisì il privilegio perpetuo di “Citta regia”, divenendo così città libera facente parte del demanio del Regno Unito (Cf. M. Bonserio, Le conclusioni decurionali della città di Giovinazzo: anni 1551-1762, Tip. Levante, Giovinazzo 1994, pagg.153-154, n.268).
Ho posto volutamente l’accento su queste circostanze storiche allo scopo di puntualizzare che l’onorificienza, cui Depalma vuol pregiarsi di far avere, non avrebbe alcun senso se, oggi più di ieri, non sia sentita dalla popolazione come un valore in sè d’identità e di appartenenza alla comunità civica, nella consapevolezza che ciascuno ha il dovere di dare il proprio contributo per il bene comune. Calare quel titolo come una delle tante elargizioni che spande Depalma, sentendosi investito della potestà di comando di Primo cittadino, senza coinvolgere la cittadinanza, per il tramite degli organismi statutari del Comune, significa disconoscere i principi costituzionali della democrazia popolare.
Trascrizione del documento di Ferrante I d’Aragona.
Affinchè la fede e la costanza della Città e degli abitanti sia maggiormente nota ai posteri e da Noi anche con altro attestato decorata, scientemente per norma dei presenti medesimi e per Nostro proprio volere, concediamo alla detta Università nelle armi e nelle insegne che essa porta ed usa, possa anche portare e porti corona aurea, tanto nei sigilli, sculture e pitture, quanto nei vessilli delle proprie armi ed insegne e dovunque altro fosse d’uopo.
Dalla quale aurea corona la detta Università di Giovinazzo orniamo, illustriamo e decoriamo da ora e per tutti secoli futuri a perpetua testimonianza della virtù e fedelta di essa, la qual corona, appunto di color oro, porti nella mano destra l’immagine di S. Tommaso, che la detta Università usa per stemma e insegna.
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