“La democrazia rappresentativa è in crisi. Ed io che faccio?” Questo l’interrogativo ed, allo stesso tempo, il monito di Don Antonio Panico, docente di sociologia generale presso la LUMSA di Taranto nel corso della prima lezione della “Scuola di democrazia” svoltasi sabato 13 ottobre presso la sala “San Francesco” della parrocchia “Maria SS. Immacolata” di Giovinazzo. L’incontro, così come tutto il percorso di formazione, è stato organizzato dalla Diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e dall’Associazione “Cercasi un fine- Onlus” in collaborazione con l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, la Consulta per le Aggregazioni Laicali, l’Ufficio Socio Politico dell’Azione Cattolica e l’Osservatorio per la legalità e per la difesa del Bene Comune di Giovinazzo.
Durante l’approfondimento, organizzato in sinergia anche con le redazioni di “Luce e Vita” ed “In Città”, l’attenzione dei corsisti è stata focalizzata sul tema “Democrazia, una storia attuale”. Un’attualità preoccupante secondo Panico che nel corso del seminario ha denunciato la crisi della democrazia rappresentativa e l’importanza della discesa “in campo” dei cristiani. Ma come mai si è giunti alla situazione attuale, quali le cause e quali le possibili soluzioni? Ecco cosa ha dichiarato il cattedratico in un’intervista a tutto tondo sulla democrazia e non solo.
Panico, lei che analizza le trasformazioni della società nelle varie epoche, per quali ragioni ritiene che la democrazia rappresentativa attualmente sia in crisi?
«Sono andati in crisi i partiti politici, i vecchi i contenitori della democrazia rappresentativa e sia i tentativi di questi ultimi di trovare una nuova identità che la creazione di nuovi contenitori, molto diversi dai precedenti, ne stanno determinando una difficoltà nella gestione. Altri fattori importanti si possono individuare nella crisi etica e nel disimpegno di tanti. L’impegno cattolico, venuto a mancare nella sua concretezza, sicuramente ha impoverito la scena politica. Da non sottovalutare è poi il cattivo esempio, la “crisi di eticità” nelle istituzioni, che è possibile riscontrare anche solo nella stessa lentezza della burocrazia o in quella della giustizia. Problemi che hanno fatto diminuire l’attenzione nei confronti delle istituzioni e generato anche una grave crisi di partecipazione al voto».
Oltre alla disaffezione politica, quanto possono aver contribuito altri fattori quali la globalizzazione e la percezione dell’Europa, da parte di alcuni, quasi come un’imposizione più che una possibilità di crescita?
«La perdita di sovranità da parte degli Stati nazionali viene percepita da chi non ha una grande cultura nello specifico come un’inefficacia anche nella proposta politica territoriale. Se a livello locale si percepisce che l’amministrazione pubblica può contare ancora qualcosa, a livello nazionale la perdita di quote di sovranità, determinata da fenomeni come la globalizzazione in campo economico, ha di fatto creato anche una disattenzione nei confronti delle istituzioni. Questo accade soprattutto nei confronti di quelle sovranazionali come l’Unione Europea che stanno apparendo come “i cattivi della situazione”. Il loro agire viene infatti percepito dalla massa come un voler conservare da parte di pochissimi un grande potere. Una “moltitudine” , come era solito chiamarla Leone XIII, divenuta oggi triste, in alcuni casi disaffezionata e in qualche circostanza come nella mia città, Taranto, anche abbastanza arrabbiata».
Una possibile via d’uscita potrebbe quindi arrivare, secondo lei, da un riavvicinamento dei cattolici alla scena politica. Ma come dovrebbe avvenire per poter mutare la situazione attuale?
«Noi cristiani potremmo rappresentare agenti di soluzione se riuscissimo ad impegnarci un po’ di più. Per far questo però occorre essere maggiormente incisivi e ripartire da ciò che da sempre ci unisce, il pensiero cristiano. E’ stato un vero e proprio autogol allontanarsi da quest’ultimo, come accaduto nel recente passato. Occorre infatti farsi guidare da tre fonti importanti come le Sacre Scritture, i Padri della Chiesa ed il loro pensiero, ed il magistero, elementi sui quali è possibile fondare un impegno diretto anche nelle istituzioni. Con gli scritti che hanno composto la dottrina sociale della Chiesa da Leone XIII in poi si è cercato di indicare, nella concretezza del tempo in cui si viveva, quali potessero essere le soluzioni dei problemi. Un impegno che andrebbe articolato in tre fasi: quella del “vedere”, del “giudicare” ed infine dell’”agire”. “Vedere” significa acquisire consapevolezza delle problematiche avvalendosi di chi possiede competenze specifiche. “Giudicare” non secondo il metro umano, ma tenendo ben presente le Sacre Scritture. E solo successivamente “agire” sulla base di conoscenze accurate con un atteggiamento propositivo e senza timori di sorta, forti dei saldi punti di riferimento che la dottrina cristiana ci offre».
Oltre ad un maggiore impegno dei cattolici nel mondo politico, quali le altre possibili soluzioni per venir fuori da questo momento di difficoltà?
«La ripresentazione molto chiara della necessità del rispetto reciproco e soprattutto della volontà di promuovere il bene comune più che quello di piccoli gruppi. Se non si riparte dal bene comune, di tutti e di ciascuno, è difficile venir fuori da questa situazione. Quella che stiamo vivendo infatti non è solo una crisi di impegno dei cattolici, ma una crisi di eticità complessiva che genera individualismo».
Un individualismo che potrebbe essere superato tornando ad esempio alle origini ed a quello spirito unitario che ha dato vita prima agli stati e poi alle istituzioni sovranazionali?
«Dare la giusta importanza alle saldi radici democratiche europee è fondamentale. Occorre infatti ricordarsi che è proprio grazie a queste istituzioni che siamo riusciti ad avere una settantina di anni senza guerre in Europa. Il problema è che forse quelle stesse istituzioni hanno perso di vista l’obiettivo per cui erano nate come il garantire il bene comune e una pace stabile. Oggi, invece, sembrano quasi garantire il mantenimento dello “status quo” piuttosto che creare le condizioni idonee allo sviluppo di tutti. Una revisione della gestione concreta da parte dell’Unione Europea è assolutamente necessaria. Insieme alla parte imprescindibile ed immutabile dei motivi ispiratori, c’è infatti un’altra che andrebbe innovata. In questo la Chiesa è maestra, il suo magistero funziona infatti in continuità ed in evoluzione. Basti pensare a Papa Francesco che mostra una continuità straordinaria con il magistero precedente, ma che allo stesso tempo inventa un nuovo tema del quale è necessario occuparsi come accaduto con l’interesse nei confronti dell’ecologia e del riscaldamento globale. La continuità nell’innovazione: occorre essere capaci di evolversi senza perdere come riferimento le origini».
Un momento di crisi quindi, ma anche una possibilità per dar vita ad una realtà migliore.
«Tutte le crisi sono delle opportunità. Noi cristiani abbiamo come punto di riferimento la speranza, una delle tre virtù che ci guidano nell’agire. Crediamo tanto nell’uomo capace di mettere da parte i propri interessi personali e darsi da fare non solo per sé stesso, ma anche per gli altri. Questa speranza, se condivisa e poi in qualche modo esercitata, può diventare qualcosa di concretamente positivo. Quando infatti si arriva a tante difficoltà come quelle attuali, c’è sempre una possibilità di risalita. La speranza noi cristiani l’abbiamo. Vorremmo che l’avessero tutti».
Questo il messaggio di don Antonio Panico nel corso della prima lezione della “Scuola di democrazia”. Prossimo appuntamento sabato 17 novembre alle ore 16 sempre presso la sala “San Francesco” della parrocchia “Maria SS. Immacolata” con Laura Tafaro, professoressa di diritto privato presso il Dipartimento Jonico dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” con la seconda lezione dal titolo “Democrazia & carta fondamentale”.
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