Giovinazzo ha perso uno dei suoi figli più insigni della cultura del novecento.
Sono tanti e tali i servigi resi alla città dal Prof. Vincenzo Rucci, e come amministratore civico e come esperto pedagogo e come cultore dell’arte e, soprattutto, come infaticabile studioso di storia patria, sotto le più svariate angolazioni. Posso ben dire oggi che, scomparendo la sua figura, scompare una delle figure intellettuali più complete della vita cittadina, ancorchè sia rimasto sempre fuori da ogni pubblica evidenza. Noi c'inchiniamo con riverenza alla sua memoria, pensando che, nel momento del suo trapasso, sia doveroso, come organo di informazione locale, ricordare la sua amorevole opera nei più svariati campi in cui l’abbiamo visto interessato, sempre con equilibrio e sensibilità, ma più specificatamente nella narrazione delle cose buone del nostro popolo. Ed è questo il profilo che, in questa triste circostanza, mi preme mettere in risalto per i nostri lettori, ma anche per coloro che in vario modo hanno avuto modo di apprezzarlo. Appasionato com’era nella ricerca di fatti sconosciuti, che nel corso dei secoli avevano interferito con la nostra comunità cittadina, quando ormai aveva lasciato l’insegnamento e il suo ruolo di Preside, volli avvicinarlo per invitarlo a scrivere per il nostro giornale “in Città”. Mi ero permesso di interpellarlo avendo Egli scritto precedentemente per “Il Tocco del Bonbaum” e per “Il nuovo Tocco del Bombaum” e forse anche per “U Tammurre” , durato poco, ma la sua risposta non fu positiva. Avevo capito che voleva saggiare la nostra capacità editoriale ma, soprattutto, la nostra voglia di fare una informazione seria e pertinente con quanto accadeva e si registrava nella contestualità sociale dell’epoca. Mi meravigliò enormemente quando mi contattò per dirmi che aveva disponibile qualcosa da pubblicare, tant’è che gli dedicai subito uno spazio per le sue riflessioni. Da allora e specialmente negli ultimi anni di contatto la sua collaborazione era divenuta sempre più stretta, in rapporto anche alla nostra crescente aspettativa di leggere i suoi articoli.
Ogni mese, puntualmente, lo raggiungevo presso la sua abitazione ed alla stregua di un emozionante rituale mi consegnava il suo meticoloso lavoro che aveva la cura di approntare corredandolo di foto inedite, spesso approntato di suo pugno oppure elaborato con la sua “macchina da scrivere”. Ed erano pagine di poesia, che si spingevano oltre quello che poteva essere un articolo giornalistico, pagine che avevo il gusto di leggere e rileggere ritrovando, sovente, forme descrittive che evidenziavano una formazione culturale completa.
Egli ci lascia scritti che rivelano appunto profondità di analisi ma anche l’immensa visione di amore per la sua terra nativa e soprattutto per le tradizioni del nostro popolo che avrebbe voluto fossero custodite e tramandate nella loro genuinità originaria. E’ proprio alla sagacia della sua ricerca presso gli archivi del Vaticano che conosciamo momenti di vita di S. Giuseppe da Copertino, del nostro Beato Nicolò Paglia, di S. Chiara da Montefaco e tanti altri Santi ancora; vicende influenti e connesse con la condotta più a meno esaltante della quotidianità della nostra gente.
Per questo, quando annunciò che problemi di salute lo costringevano ad abbandonare il suo gratificante impegno con il mensile “in Città”, la nostra Redazione promosse e pubblicò un libro che raccoglieva tutti i suoi articoli nell’arco di un quarantennio, dal 1960 al 2001, pubblicati dai vari giornali che si sono avvicendati nella produzione dell’editoria locale. Questo fu il suo ultimo corposo lavoro di cui fu particolarmente orgoglioso per averlo di persona concepito, curato, organizzato e messo a punto anche nella sezione fotografica e parte grafica. Ne fu enormemente entusiasta al momento della presentazione del volume, quando sabato 9 agosto del 2003, ebbe a illustrarlo al pubblico presso la sala consiliare della Casa comunale, perché era conscio che quello era il compendio della sua vitale espressione d’interesse per il patrimonio culturale e artistico e storico della nostra civiltà cittadina.
Ho trascurato di proposito rammentare la sua immensa devozione per la Protettrice, la Madonna di Corsignano, e per il suo vertiginoso interesse alla salvaguardia della sua Icona, esposta in Cattedrale, di cui Egli, in qualità di Sindaco, alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, fu promotore dello speciale restauro della tavola cui è impressionato il dipinto della Vergine. A riguardo, per una più diretta cognizione del lettore, riporto una sua relazione pubblicata a settembre del 1988 sul “Il Nuovo Tocco del Bombaum”.
Circondato dalle simpatie di chi come noi l’ha conosciuto ed apprezzato, Egli ci ha salutati con lo stesso amore che ha nutrito per la sua Giovinazzo, lasciando noi, operatori della pubblica informazione, un senso di vivo rimpianto.
Alla cara sua memoria, interpretando il pensiero di tutta la Redazione di “in Città” e della Confraternita Maria SS, del Carmine che edita la testata, invio l’espressione del nostro sentito cordoglio e alla famiglia, desolata, le nostre commosse condoglianze.
Filippo D’Attolico
1954: I RESTAURI DELL’IMMAGINE DI MARIA SS. DI CORSIGNANO
(Relazione dell’allora Sindaco prof. Vincenzo Rucci)
Per meglio conoscere e apprezzare le difficoltà e l'importanza dei restauri del Quadro di Maria SS. di Corsignano, sarà bene rifarsi un po' indietro negli anni e precisamente alla data del 1 maggio 1896, allorché, da parte di un'assemblea di cittadini tenuta sul Palazzo di Città, si scelse all'unanimità il disegno dell'architetto Ettore Bernich per la costruenda edicola d'argento, che si conserva in Cattedrale e che viene annualmente portata in processione nelle feste patronali.
L'edicola, dalle linee in stime romanico-pugliese, presenta al centro un'apertura di cm. 24 x 34, corrispondente al volto della Madonna; non fu prevista in disegno né praticata un'apertura di dimensioni più ampie, perché dell'antichissimo Dipinto, raffigurante Maria SS. di Corsignano, l'unica parte ancora in discreto stato di conservazione e degna di essere valorizzata era il volto della Vergine. Il resto del Quadro era, sin da quel lontano anno, in completo sfacelo.
Nell'anno 1897, l'edicola, opera dell'orefice Costantino Calvi di Roma e dello scultore Eugenio Maccagnani di Lecce, arrivò a Giovinazzo e fu provvisoriamente depositata nella Chiesa di S. Agostino, dove, in forma privata, fu portato dalla Cattedrale il Dipinto raffigurante la Madonna: ma, al momento di collocarla nell'edicola, ci si accorse, con sorpresa, che la Tavola era più alta e più larga del vano praticato nell'interno dell'edicola argentea e, lì per lì, sembrò agli uomini del tempo non esserci altra decisione da prendere, che tagliare sui quattro lati il Quadro, in modo da poterlo collocare nella sua custodia. Il che fu fatto in maniera affrettata e grossolana; gli orli ne risultarono frantumati, il lato superiore fu tagliato secondo una linea obliqua e, cosa ancora più grave, mentre si procedeva al taglio, si verificò una rottura del Quadro stesso, sul lato destro, dall'alto in basso, secondo una crepa preesistente di epoca più antica.
Il fatto, oltre a mostrare in maniera anche più evidente, lungo tutta la frattura, lo stato di avanzata erosione del legno, dovette provocare sbigottimento nei presenti, i quali cercarono di riparare allo scempio saldando i due pezzi con un grossolano mastice rivelatesi poi, all'analisi, composto di segatura di legno e colla di falegname (non era la prima volta che un composto simile veniva applicato sulla superficie del Dipinto, come si vedrà in seguito); in più, proprio perché il legno minacciava di polverizzarsi, chiusero l'intero Quadro in una lastra di zinco che, coprendo per intero la parte posteriore, era ripiegato lungo gli orli sulla facciata anteriore, su cui il metallo venne fissato con comunissime viti di ferro: lungo la rottura vennero fissate, ugualmente con viti di ferro, tre fascette zincate.
Così sistemato, il Dipinto venne chiuso nell'edicola d'argento ed ivi rimase fino all'anno 1950.
In detto anno, con l'autorizzazione dell'Autorità ecclesiastica e in presenza dei membri della Commissione per le Feste patronali, il Quadro fu tolto dalla sua custodia d'argento. Si ebbe allora modo, per la prima volta dopo cinquantatre anni, di constatare lo stato di completa rovina in cui la Tavola era.
Fu in quell'occasione che il dott.Vincenzo Daconto praticò sul volto della Madonna, nei fori provocati dai tarli, alcune iniezioni di Dicloro Difenil Tricloroetano (D.D.T.), allo stato puro, non in soluzione, come quello in commercio, allo scopo di fermare l'azione roditrice e distruggitrice dei tarli.
Questo provvedimento, come vedremo, non servì praticamente a nulla, in quanto ormai i tarli non esistevano più, avendo essi compiuto già da tempo e in maniera completa la loro opera. Se mai l'introduzione del D.D.T. tra le fibre consunte del legno finì con l'accelerare il loro processo di disgregazione (l'ago, introdotto nei fori, non incontrava resistenza alcuna, e ciò fu motivo per cui l'operazione venisse interrotta dopo un certo numero di iniezioni) e alterò in parte i colori, almeno di quella zona che era ancora in qualche modo salva, cioè il volto della Vergine.
Tanto vero che lo stesso dott. Daconto, ritornato da Roma nel novembre '52, ebbe modo di constatare che lo stato del Quadro, a suo parere, era di molto peggiorato da quando, due anni prima, erano state praticate su di esso le iniezioni.
Parlò di ciò al Sindaco e al Cav. Maldarelli; la cosa fu riferita a Mons. Vescovo, cui fu esposta la grave situazione del Quadro della nostra Protettrice, la cui immagine i Giovinazzesi avrebbero di certo perduto nel volgere di pochi anni, se non si fosse intervenuto in tempo con urgenti, radicali e sapienti restauri.
Dietro suggerimento di Mons. Vescovo, si decise di chiedere il parere e l'intervento della Soprintendenza di Bari, organo dello Stato addetto alla tutela del nostro patrimonio artistico.
I Tecnici, invitati a Giovinazzo, dopo una prima visita sommaria, disposero che il Quadro venisse tolto dall'edicola; il che avvenne alla presenza degli stessi Tecnici, del Vescovo, del dott, Amoia, in rappresentanza dell'Amministrazione comunale, e di altri, il 4 dicembre 1952. Dello stato di sfacelo, in cui il Quadro era, si dirà in seguito.
Dopo un attento esame e uno studio delle possibilità che vi erano di poter salvare il prezioso Dipinto, il 19 gennaio 1953 la Soprintendenza inviava una relazione, a firma del dott. Jusco, favorevole in linea di massima ai restauri, senza nascondere però le difficoltà e le incognite che tale lavoro presentava, a causa dell'avanzato stato di rovina in cui il Dipinto si trovava e in considerazione del fatto che si ignorava che cosa si nascondesse nella facciata posteriore, ricoperta dalla zinco.
Il 27 febbraio 1953 il Sindaco convocò in Cattedrale, presenti Mons. Vescovo e la Giunta Comunale, i rappresentanti dei vari «ceti», i quali constatarono de visu in quella circostanza il grave stato di conservazione del Dipinto. Essi, dopo aver esposto la cosa alle rispettive associazioni, convocate in seduta plenaria, diedero per iscritto mandato al Sindaco affinché provvedesse ai restauri, da farsi secondo la relazione dei tecnici e in istituti attrezzati per opere di tal genere.
Le adesioni, commoventi per forma e semplicità, staranno a testimoniare nel tempo quanto grande sia la devozione e l'affetto che lega il popolo di Giovinazzo alla sua Protettrice.
Non mancarono, naturalmente, intorno ad una questione così importante, i pareri avversi basati su incertezze e timori per lo stato dell'Opera e numerosi furono coloro che, in tale occasione, preferirono non pronunziarsi e attendere, con prudenza, gli eventi. Per fortuna dei Giovinazzesi, costoro non furono i più.
Mentre una copia fedele, opera della pittrice Giuseppina Pansini, prendeva in Cattedrale il posto del Quadro originale, questo veniva portato, in forma privata, da una ristretta commissione di cittadini (Sindaco, Sig.na Pansini, Sac. Nicola Illuzzi, Cav. Messere, Cav. Maldarelli) a Bari, il 7 novembre 1953 e affidato nelle mani del Soprintendente.
Il ritorno del Dipinto restaurato a Giovinazzo, il 25 aprile dell’Anno Mariano 1954, sarà ricordato come un avvenimento nella nostra storia cittadina. Tornava tra noi l'immagine della nostra Protettrice, che mai, da quando la Provvidenza aveva fatto sì che venisse ad abitare nella nostra Città, si era allontanata: neppur quando le minacce della seconda guerra mondiale avevano messo in serio pericolo l'esistenza delle nostre case ed avevano disseminato di rovine la Patria.
Il corteo delle automobili che accompagnarono al mattino la Venerata Immagine proveniente da Bari, alla Chiesa dì S. Agostino, e la processione che la scortò in Cattedrale, nel pomeriggio, in mezzo all'esultanza e alla fede dei Giovinazzesi con larga partecipazione di Autorità e di popolo, furono le manifestazioni più belle della nostra devozione verso la Madonna di Corsignano. Il Sindaco, a nome dei cittadini, ne salutò il ritorno sulla soglia del Palazzo Comunale, invocandoLa Madre Nostra e Protettrice.
Possa Ella continuare a vegliare col Suo sguardo misericordioso sulle nostre famiglie, sulla nostra Città, sulla nostra Patria nei secoli futuri.
da "Il Nuovo Tocco del Bombaun" Anno IV N. 9
(settembre 1988)
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