IN OCCASIONE DI UN EVENTO RELIGIOSO SERVE UNA DOPPIA CELEBRAZIONE?
Con la domenica del Corpus Domini si è chiuso il mese di maggio, cui si sono concentrati, come non mai, tutta una serie di eventi religiosi di grande rilievo liturgico per essere a fondamento della fede cristiana. Quest’anno poi si è pure aggiunta la particolare cerimonia in onore di Santa Rita da Cascia (1381-1457), con l’esposizione presso l’ex Cattedrale della reliquia ex ossibus della Santa, proveniente dalla Basilica a lei dedicata in Umbria e, da qualche anno, ospitata in molte città del meridione. Le celebrazioni, poste in essere per la circostanza, in tutto l’arco della prima decade del mese, anche in concorso con quelle proprie del tempo, hanno fatto da richiamo per molti suoi devoti giunti, pure, dai centri viciniori, ancorché fuori della festa propria che cade il 22 maggio, giorno della sua morte. Non sono poi neppure mancati, per la ricorrenza della festività canonica, ulteriori celebrazioni per la Santa di Cascia, quelle che di consueto si tengono presso la Chiesa di S. Domenico ove è custodita pure una sua reliquia e una caratteristica effigie. A dare solennità alle varie cerimonie e ai riti che si sono susseguiti, prima nell’ex Cattedrale davanti alla reliquia del Santuario di Cascia e poi in S. Domenico, conclusisi proprio in quest’ultima chiesa, lunedì 23 maggio, è intervenuto il Vescovo Don Mimmo Cornacchia. Il Presule, da qualche mese preposto alla nostra Diocesi, certamente, non ha voluto scontentare nessuno dei due parroci per questa inaspettata concorrenza di celebrazioni per la Santa della spina, che pur annovera in città molti devoti fin dalla sua canonizzazione, decretata solo nel 1900 dal Papa Leone XIII. Il mio ricordo, circoscritto ai anni primi decenni della seconda metà del secolo scorso, ravvisa l’accorrere di gente in San Domenico, per la cerimonia religiosa curata, nel giorno della festa, dal parroco don Saverio Bavaro che, oltre alla Santa umbra, teneva molto anche alla festività di S. Giuseppe, il 19 di marzo.
- Quale è stata la ragione della duplice commemorazione, tra l’altro in stretta coincidenza temporale, riguardo alla Santa di Cascia, la cui festività, per quanto molto seguita, il calendario liturgico la regista come memoria facoltativa?.
- Pur a voler dare, con particolari forme, culto pubblico alla Reliquia ex ossibus, non sarebbe stato più consono con la tradizione locale esporla nella chiesa ove da tempo viene a praticarsi la rituale devozione per S. Rita, ivi rappresentata anche da una bella statua?.
- Forse il parallelo dei programmi religiosi a commemorazione della Santa che la si invoca per risolvere cause impossibili, potrebbe aver esaltato la pietà popolare?
Chi sa se ci potrà mai essere un qualche ragionevole riscontro a questi quesiti che pur si affacciano con naturalezza a chi è orientato a distanziarsi da una comprensione privatistica della fede e da una visione dell’esperienza cristiana di tipo sensazionale, quella convenzionale avvertita in gran parte in ogni sacra manifestazione a sfondo popolare.
Di fatto, il prolungato cerimoniale in onore della Santa di Cascia, pure nella sua significanza di popolarità, ha dato evidenza, del nostro comune modo di essere cristiani, vissuto ancora in una persistente stagione di individuale consumo dell’evento religioso senza che questo possa identificarsi in una spiritualità esistenziale. Una proiezione di fede che, da una parte, porta ad accostarsi ancora ai sacramenti, dall’altra si alimenta più alle devozioni. E’, forse, in questa visione generalista del nostro credo, che la comunità post-moderna avverte, tuttora, più il bisogno di esprimersi con formule devozionistiche dall’evidente esteriorità e che, in parte, sembra rispecchino antichi schemi cultuali tipici dell’ormai lontana “societas christiana” i cui valori fideistici s’incentravano in pratiche, riti e pii esercizi a ripetizione.
L’enigmatica vicenda, infatti, non è da ritenersi isolata perché sembra che pur in altre situazioni si siano verificate sconsiderate ripetizioni di azioni rituali e, perfino, il sovrapporsi di organismi religiosi con identici fini istituzionali. Il più eclatante di casi, documentato storicamente, resta quello della costituzione a Giovinazzo, sul finire dell´800, di ben due Confraternite dedicate alla Beata Vergine del Rosario, entrambe istituite canonicamente nello stesso giorno da mons. Pasquale Picone (Vescovo dal 1895 al 1917). La prima, con l’approvazione del suo statuto il 3 marzo 1896, per essere già attiva presso la chiesa ex monastica di S. Domenico con il titolo di Pia Unione di Spirito “Beata Vergine del Rosario” e che venerava una antica statua lignea, non più esistente, raffigurante la Madonna con il Bambino nell’atto di porgere la corona del rosario a S. Domenico. L’altra, veniva autorizzata ad insediarsi, nello stesso giorno, nella chiesa ex agostiniana di S. Agostino con il titolo di Congregazione della “Beata Vergine del Rosario di Pompei”. Quest’ultima, dopo la sua approvazione canonica, infatti, ebbe subito a commissionare allo scultore leccese Giuseppe Manzo un gruppo statuario in cartapesta, raffigurante l’immagine impressionata nel quadro di Pompei, divulgata dal dott. Bartolo Longo, effige ora custodita nella chiesa dello Spirito Santo, ove ebbe a trasferirsi la confraternita agli inizi del ´900. Insomma due organizzazioni di devoti, guidate da preti, tra loro in competizione, che si proponevano di venerare la Madonna del Rosario col fine di aggiudicarsi la legittimazione ad intercedere favori ed indulgenze alla Vergine Maria. Si parlò all’epoca, appunto, di lite fra preti che non si poté riconciliare in alcun modo con l’unificazione dei due corpi associativi, neppure con l’intervento del Sindaco del tempo, il Cav. Filippo Marziani, che approntò l’atto di accordo per un onorevole accorpamento dei due Enti; concordato che le parti contrapposte non ritennero di attuare, ancorché sottoscritto dai rispettivi responsabili davanti alle Autorità municipali. Fortunatamente nell’attualità, l’Amministrazione civica, chiamata in soccorso della iniziativa cultuale, si è limitata solo a sponsorizzare e a promuovere l’articolato programma delle manifestazioni e cerimonie, predisposte dal Parroco, perché la presenza della reliquia a Giovinazzo potesse avere il massimo della pubblicizzazione.
Insomma un contesto di religiosità, anche questo del nostro tempo, rispondente proprio al quadro fideistico tridentino, che teneva particolarmente in considerazione l’efficacia invocativa delle Reliquie dei Santi, come indicato dallo stesso documento conciliare -(Sess. 25, – Decr. De Reliq. Santorum)-, di cui si riporta parte del testo: “I corpi dei gloriosi Martiri e degli altri Santi, che vivono con Cristo in Cielo, sono stati qui in terra membra vive di Gesù Cristo medesimo, e tempio dello Spirito Santo: e debbono essere un giorno glorificati, quando risusciteranno, per avere parte anch’essi nella ricompensa, come hanno avuto nelle battaglie; si debbono questi venerare, perché molti benefizii si compartiscono da Dio per mezzo di essi agli uomini. Cosicché chi ardisce affermare, che queste sacre Reliquie non si debba prestare alcuna venerazione ed onore, e che indarno sono visitate, al fin di ottenere per loro mezzo grazie da Dio, siccome questi furono altre volte dannati, così nuovamente la Chiesa li danna”. (Cfr. DENZINGER H. SCHONMETZER A. in Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. XXV, 1124, Barcellona-Friburgo-Roma 1976).
E, non si può per niente denegare che quella reliquia ex ossibus non abbia attratto un gran numero di devoti della Santa per partecipare alle funzioni esperite nell’ex Cattedrale nei vari giorni della ostentazione, e neppure che non abbia suscitato l’interesse di molti visitatori alla ricerca di una interazione col sacro ponendosi davanti all’espositorio. Un fenomeno del tutto imprevisto, stando a quanto hanno scritto i mass media locali, considerando l’affluenza di tanti forestieri che sono venuti ad onorare il corpo della Santa. Fattore estremamente sintomatico che denota ancora un diffuso e radicato sentimento di pietà popolare che non trova, nella contemporaneità, adeguata comprensione in riflessioni teologiche o spirituali dello stesso Magistero, impegnato, invece, a interpretare e accogliere la Scrittura al fine di enunciare la dimensione comunitaria della Eucarestia. Non si può, però, sottacere che v’è chi vede questa circostanza somigliare ai tanti raduni di persone che si formano, sia pure sotto altre forme, anche in occasione di vicende umane e di eventi naturali che esorbitano dalla sfera del sacro e, comunque, dall’ambito religioso. Basterebbe osservare l’arrivo di migliaia di persone che si sono accalcate nel porto di Bari, negli stessi giorni di maggio, per salire a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci, giunta per la festa di S. Nicola; occorso che si è ripetuto anche negli altri porti ove il naviglio ha fatto scalo. Altrettando si è potuto rilevare nella circostanza di grosse calamità e/o di eventi disastrosi o addirittura di sinistri che hanno comportato perdite di vite umane, ove massa di gente si è portata sui luoghi implicati, spinta da una inspiegabile curiosità di osservare e impressionare, con ogni mezzo di ripresa a disposizione, gli esiti e le risultanze dannose conseguiti a quegli accadimenti ritenuti ordinariamente impossibili.
Non è qui il caso di enumerare episodi che, di recente, hanno dato luogo a queste strane attrattive di pubblico attenzionato dall’osservazione di inimmaginabili causalità impreviste. Sinceramente non mi pare appropriato accostare questi generi di fatti con il profilarsi di si ampia e sentita devozione verso la reliquia ex ossibus di S. Rita. Fenomenologia, tuttavia, che dovrebbe stimolare eminenti esperti per una analisi sociologica appropriata di queste tendenze della società contemporanea presa sempre più da qualcosa che possa rivelarsi motivo di forti emozioni anche collettive.
Poi, per quel che verte la questione a tema, ritengo personalmente del tutto essenziale tendere a capire quali rispondenze spirituali abbiano prodotto quegli assorti atteggiamenti devozionali nel contatto visivo con quel materiale osseo ostentato per il pubblico culto. E nello specifico mi sono chiesto se il fedele e/o visitatore, in quello stato di apparente prostrazione e raccoglimento, abbia vissuto con la Santa un’esperienza personale, unica, forse decisiva per la sua vita, nel senso che abbia potuto, in qualche modo, incontrare la realtà santificata che gli ha aperto uno spazio sulla presenza vitale del Cristo Morto e Risorto, nell’oggi del suo esistere. E’ sacro o “santo” quella realtà, quel qualcosa di visibile, di apparente che nei suoi particolari tratti rinvia ad un’altra dimensione, quella trascendente, per entrare a contatto con il Mistero divino, essere in relazione con l’Altro, sentirsi in comunione piena con Dio. Sarebbe questa la valenza della reliquia: consentire al credente di avvertire il superamento della stessa in quanto segno significante per raggiungere l’universalità dell’Essenza significata in sé. Se così è, il cristiano, congedandosi da quell’incontro con il corpo della Santa che ha onorato con profondo sentimento e, già fuori dall’uscio della chiesa, mentre riprende la normalità del proprio quotidiano, dovrebbe aver percepito la consapevolezza di disporre di due modi radicalmente diversi di comportarsi: l’atteggiamento di chi vive la necessità di nutrire sentimenti affettivi e di avere guarigione, lavoro, benessere, identità e socialità, configurandoli come beni di cui disporre, agognare e possedere; e l’atteggiamento di chi li vive come segni o doni di relazione di comunione con la Divinità. E, in questa ultima proiezione avrebbe potuto avvertire intimamente l’atteggiamento della disponibilità, dell’affidamento, della fede vissuta; quella che i seguaci di Cristo trovano alimentandosi costante alla Eucarestia. Perché è l’Eucarestia che pone il dono di sé (pane spezzato) come suprema realizzazione della persona umana e, quindi, sollecita a costruire e custodire comportamenti valoriali conformi all’insegnamento evangelico.
Solo così si potrà dire che quella venerazione ha segnato concretezza e profondità per la vita del credente, percependo il proprio compimento escatologico contro la dittatura del presente, dell’immediato, del “per me”.
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