Con l’avvio della campagna elettorale per il rinnovo delle cariche comunali, a fine novembre scorso, sono stato indotto a trattare in generale il tema dei “Cattolici in politica attiva”, nel tentativo di poter dare comprensione di quale fosse realisticamente “il senso della presenza dei cattolici nella condizione politica cittadina”, immettendosi nell’arena della competizione molti credenti, pur sotto simboli diversi. Mi ero, infatti, proposto di approfondire quella sorta di frattura che veniva evidenziandosi nell’ambiente cattolico nostrano, dopo la disputa innescatasi tra l’esponente cattolico dott. Michele Sollecito, Vece-Sindaco, e L’Osservatorio per la Legalità e per la difesa del Bene comune, compagine di estrazione diocesana che assecondava la formazione di un nuovo soggetto politico sotto il titolo di “PrimaVera Alternativa”.
Avevo, sia pure in forma sintetica, esposto quale sia in Italia il quadro confuso del difficile dialogo tra comunità cristiana e politica, dopo la scomparsa della DC, e l’improponibilità dell’insorgere di altro partito o movimento dall’esplicito riferimento al credo cristiano. Nello specifico, avevo rilevato il profondo disagio che si avvertiva nella realtà locale per il rinfocolarsi furibondo del contrasto tra gli stessi movimenti civici in proiezione laica, al cui interno si trovavano a operare esponenti di rango della cattolicità. Senza tornare su quella dissertazione, consultabile, comunque, su questo sito nell’“Area Politica”, mi preme riportare alla lettura di chi ci segue quello che era stato il punto di arrivo del mio argomentare, riguardo al ruolo che devono interpretare i cattolici che fanno politica. E concludevo in quest’ordine: “Ne deriva che la persona di fede cristiana, quanto alla politica, dovrebbe continuare ad educare e sperimentare sapientemente il senso religioso del suo essere, della sua strutturale limitatezza e caducità esistenziale e, ancora della sua convinta testimoniante relazione con il Rivelatore del Padre cui si appella sempre fiducioso anche di fronte ad ostacoli e avversità sia personali sia collettivi. E, dunque, è questo tipo di coscienza che rende creativi, onesti, nobili e sensibili, anche in aperta dialettica con portatori di altre logiche e proposte ideologiche, per cui è defficile pensare che qualcosa di nuovo e degno possa affiorare, anche dal punto di vista cattolico, se non è viva tale sorgente interiore”.
Mi ero espresso con una simile affermazione avvertendo che, nell’era dell’iperconnessione social, ove tutti si è comunicatori, dai pulpiti più disparati, da cui poter lanciare infinite comunicazioni, ma anche invettive, critiche e attacchi polemici a persone, a cose e a fatti accaduti, i cattolici non disdegnano minimamente quelle diffuse abitutini. Anzi mi è parso che gli stessi cattolici, di frequente si adeguano a tali deprecabili forme comunicative rivolte a controbattere, pure con insulti, gli altri che hanno punti di vista diversi e, perfino, a delegittimarsi in polemica fra loro stessi, solo perchè stanno in campi opposti, perfino, in ambiti fuori dalla politica. Sentirli discutere e comunicare, anche sul web, non si vede tanto, come vorrebbe il Vangelo, che “ci si ami gli uni gli altri”.
Non sono stati da meno i nostri politici credenti, specialmente nella fase conlusiva della campagna elettorale, ove non sono mancati pesanti apprezzamenti di disprezzo e denigrazioni da parte di esponenti di dichiarata ispirazione cattolica, militanti su fronti contrapposti. Hanno vomitato affermazioni ingiuriose e offensive per discreditare, anche sul piano personale, l’avversario per farlo apparire agli occhi del proprio elettorato come personaggio socialmente disdicevole e condannabile sul piano etico. In pubblica piazza, proprio dalla bocca di personaggi cattolici sono partiti strali di dileggio contro credenti di altro schieramento; un condensato di veleni farcito in un linguaggio dalla ferocia inaudita che certamente avrà disgustato gli stessi ascoltatori per la gravità degli improperi, imbastiti ad arte.
Che dire! E’ questa la figura di credente che, proponendosi di fare politica, nell’odierna società secolarizzata, deve saper testimoniare la sua fede, particolarmente in contesti, completamente estranei a quelli eccesiali, ove si assumono decisioni importanti per la comunità civile? Sarebbe questo il modo di comunicare di un cattolico sul terreno politico, specie quando, come nel nostro caso, si è visto chiaro, fin dalle prime battute, l’emergere di divisioni e polemiche accesissime fra candidati che hanno manifestato di sentirsi impegnati a dare attuazione a valori di radice cristiana?
Un segnale veramente raccapricciante.
Hanno dato un esempio oltremodo rattristante: il loro presentarsi credente, fino allo scontro furibondo del ballottaggio, non è stato minimamente da freno al trascendere in quelle forme disdicevoli di comportamento relazionale, quasi a rinnegare, scientemente, quel che è stata la raccomandazione del Papa del saper “dire insieme verità e misericordia”. Ben lontani si è dalla carità cristiana che dovrebbe loro animare, se si è tesi a prospettarsi politicamente in base solo alla propria identità e se, nel parlare al proprio elettorato, lascino prevalere solo il professare qualche cosa, scandire uno slogan che sorprende, proclamare un qualcosa e, perfino, lanciare insulti contro l’avversario.
Una lunga nota dell’Azione Cattolica diocesana, peraltro non firmata, è apparsa qualche giono fa sul social network locale, facendo un’ampia disamina del voto presso i tre comuni della Diocesi che hanno rinnovato le cariche elettive, porgendo, in ultimo, ai nuovi amministratori, l’auspicio a voler far proprio il famoso invito del Vescovo don Tonino a essere fautori della politica “del grembiule”. Stranamente quell’articolato rapporto sugli esiti elettorali, però, non ha fatto cenno in alcun modo allo sconcertante caso giovinazzese che ha visto i politici cattolici denigrarsi vicendevolemente con toni così sprezzanti.
Personalmente da questa deprecabile vicissitudine, deliberatamente ignorata dal più importante Organismo associativo cattolico, traggo un segnale di tutto rilievo e cioè che la fede cristiana rimane, tuttora, confinata nello scenario della pratica celebrativa cultuale, con poca e scarsa incidenza nella formazione sociale delle coscienze dei credenti. Tanto meno pervade lo spiritivo caritativo in chi decide di dedicarsi alla politica, nonostante affermi il proposito di voler corrispondere alla visione cristiana della vita nell’interesse del bene comune, secondo l’adagio evangelico: “Essere sale della terra e luce del mondo”.
Solo così riesco a spiegare come la maggioranza dei cattolici nel fare politica assuma stili comportamentali e modalità relazionali poco rispondenti all’insegnamento sociale della Dottrina della Chiesa. Tra l’altro, in loro prevale, altresì, il convincimento che si possa essere credibili, per la loro identità di fede, solo se ci si prodiga di favorire e assecondare apparati clericali, approfittando degli incarichi pubblici che si trovano a ricoprire.
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