Può sembrare del tutto incomprensibile, ma la vicenda è un altro segnale eclatante che ci ha riservato l’approsimativa quanto inconcludente gestione regionale del ciclo dei rifiuti urbani che, ormai da tempo immemorabile, versa in una grave emergenza strutturale, cui, peraltro, non si riesce a porre rimedio. Dopo alcuni mesi di massiccia informazione alla cittadinanza, attraverso conferenze pubbliche, informative pratiche a carattere rionale, consegne di ogni tipo d’istruzione e attrezzaggio per la separazione del rifiuto domestico, nonché di specificazione dei programmi di ritiro domiciliare, alla vigilia del via del nuovo sistema di raccolta, fissato per il 1° novembre, tutto è stato rinviato “sine die”.
L’Ufficio Stampa dell’Aro/BA.2, il Consorzio dei Comuni cui fa parte Giovinazzo, ha, infatti, comunicato che “il servizio di raccolta dei rifiuti, che già opera nelle città limitrofe con il porta a porta, per le città di Palo del Colle e Giovinazzo l’inizio della raccolta slitta a data da definirsi, mentre si confermano le ultime scadenze in materia di ritiro kit e incontri con la cittadinanza”. Questa inaspettata evenienza di procastinare il ritiro porta a porta trova origine in un intoppo di non poco conto e, comunque, di non facile superamento; nel senso che il processo di trattamento e di smaltimento dei nostri rifiuti organici incontra notevoli difficoltà ad andare a conclusione con la termovalorizzazione degli stessi, perché viene data notizia, solo oggi, che mancano strutture adeguate in ambito regionale per la lavorazione e la trasformazione dell’umido.
Quel comunicato, infatti, aggiunge: “a causa della particolare situazione di crisi del sistema di gestione e dell’impiantistica di conferimento dei rifiuti umidi della Regione Puglia, l’avvio del servizio di raccolta porta a porta a Palo del Colle e Giovinazzo subirà ritardi. I pochi impianti privati vicini all’area di pertinenza dell’Aro/Ba.2 non hanno al momento la possibilità di accogliere i rifiuti prodotti dai Comuni suddetti”.
Da ciò possiamo rilevare non solo che mancano in zona strutture pubbliche idonee a trattare tutta la produzione di differenziata che si raccoglie nei Comuni di riferimento, ma le stesse aziende private che trattano detto prodotto non sono in grado di raccogliere “altri” rifiuti, particolarmente quelli di Giovinazzo e Palo del Colle.
Una situazione a dir poco paradossale: per un verso, a marce forzate, si è inteso istruire le famiglie e le imprese locali ed incombere loro l’obbligo di separare e differenziare i propri rifiuti, dall’altro quel dictat a praticare la cernita a domicilio si rivela del tutto inutile in quanto, allo stato, mancano i centri per la biostabilizzazione e il compostaggio della frazione dell’umido. Sicchè, in Puglia, oltre ad una dichiarata indisponibilità di discariche, sono insufficienti anche gli impianti per il trattamento dell’organico, tant’è che, sempre più, si vocifera, una gran quantità di tale differenziato viene inoltrata verso gli inceneritori delle Regioni del nord, oppure finisce nelle discariche dopo la stabilizzazione.
E’ a dir poco sconcertante poi apprendere questo stato di cose pure dallo stesso Governatore Emiliano che in una sua esternalizzazione in terra salentina così si è espresso: “Siamo all’anno zero, la Puglia in questa materia intende fare di più. Non c’è stato, infatti, un investimento sufficiente sugli impianti, quindi non si riesce a trattare l’umido che è la parte più costosa del conferimento e, in più, nonostante la presenza abbastanza di termovalizzatori, il ciclo comunque non è chiuso. Occorre, dunque, lavorare moltissimo, anche costruendo una fliera industriale del riuso. Significa che fai la differenziata e poi non sai come utilizzare i beni che differenzi, non ottieni benefici ma costi maggiori. La differenziata è utile quando sai cosa fare di ciò che separi, per questo bisogna avere una filiera industriale che riutilizzi adeguatamente i materiali derivanti dalla differenziata”.
Non si può eccepire alcun che a questa autorevole dichiarazione, se non altro aggiungere una esplicita conclusione: che finora il processo gestionale di trattamento dei rifiuti volta alla chiusura del ciclo risulta essere completamente fallimentare. Ma se questo è vero, allora il separare l’organico e non sapere come e dove trattarlo, tanto da ripiegare per il suo trasferimento agli inceneritori del nord o conferirlo, dopo averlo reso secco, in discariche, particolarmente quelle private dedicate ai rifiuti speciali non pericolosi, è un vero assurdo. Conseguenza inevitabile di tutto questo, concordando con lo stesso Governtore, è un sostanziale incremento dei costi del sistema spazzatura che naturalmente va a scaricarsi sui cittadini come aumento delle tasse che pagano. E i giovinazzesi, al riguardo, ne sanno qualcosa.
E già perché, per un verso, incide l’elevato costo del trasporto sulle lunghe distanze, in alternativa pesa l’assoggettamento del Comune all’ecotassa per le consistenti quantità di rifuto che continuano ad essere smaltite in discarica.
Eppure, avevano assicurato che la differenziata “spinta” avrebbe notevolmente ridotto il costo del servizio per il cittadino; ora, invece, apprendiamo che non è per niente certo, perchè la Regione Puglia, oltre a non disporre di pubbliche discariche, è carente di biostabilizzatori e, per di più, di centri di trattamento di riciclo dell’umido. Per cui la prospettiva attuale rimane il conferimento in discarica o l’esportazione al Nord dei rifiuti presso impianti di incenerimento che il Governo centrale pressa perché si costruiscano anche in Puglia, ma che le comunità locali e le forze politiche al potere rifiutano a motivo del loro impatto ambientale.
Un’ennesima beffa per la comunità di Giovinazzo. Dapprima, Natalicchio aveva dato precise assicurazioni che il sistema di trattamento meccanico biologico, a mezzo del costruendo impianto a regime di biostabilizzazione sui terreni agricoli, all’uopo espropriati in adiacenza del sito di San Pietro Pago, avrebbe chiuso il ciclo gestionale del rifiuto con la produzione di RBM (rifiuto biostabilizzato maturo). Tuttavia, quella struttura non ha visto mai la luce perché ci si è accorti che il materiale RBM conseguente a tale trattamento, non era in alcun modo adatto ad un suo riuso in alcun campo di impiego, per cui si è ritenuto conveniente non mettere mano a quello stabilimento che avrebbe prodotto solo scarti da smaltire necessariamente in discariche, ormai sature. Con Depalma, invece, si è puntato tutto sulla innovativa prassi della differenziata di qualità che avrebbe dovuto risolvere ogni problema, considerata la riciclabilità del materiale organico trattato.
Si è giunti a questo fatidico traguardo, dopo anni di discussioni e contrasti tra i tanti organismi pubblici deputati a trattare questo affare, col pianificare e regolamentare il servizio della differenziata a mezzo del ritiro porta a porta e, quindi, appaltarlo a cura dell’Aro/BA.2. Ma, per quanto sopra detto, le prospettive per un risparmio dei relativi costi di esercizio del servizio stesso sono del tutto improbabili, perché si rischia di trattare il differenziato alla stessa stregua dell’indifferenziato. Il motivo sta nel fatto che la Regione si trova a fare i conti con l’assenza di siti industriali capaci di smaltire la frazione dell’umido e di riutilizzare adeguatamente il compost derivante dalla sua lavorazione e chiudere compiutamente il ciclo dei rifiuti urbani. Le stesse aziende industriali private del settore hanno dichiarato la saturazione delle loro capacità produttive in questo campo.
Insomma sembrerebbe che, in questi termini e con dette attuali criticità impiantistiche, la raccolta differenziata porta a porta, se non trova un naturale sbocco per un possibile riciclo dell’organico, si rivela antieconomica e, con oneri di esercizio maggiorati, a completo carico dei cittadini. Ed è, appunto, questa la situazione cui è incappato il nostro Comune a cui è stato imposto un deciso stop alla introduzione del ritiro domiciliare dei rifiuti.
Tuttavia, la questione è oltremodo più preoccupante se si pensa che presso il Servizio regionale dell’Ambiente ci si sta orientando a sperimentare una tecnica industriale di smaltimento, praticata già nelle aree urbane di Israele con ottimi risultati, e che prescinde dalla raccolta differenziata. Il prodotto indiferenziato immesso nell’impianto indistintamente verrebbe selezionato da macchine ad alto livello tecnologico, per cui ogni componente verebbe poi lavorato e riciclato separatamente: carta/cartoni, vetro, metalli, plastica ed organico. Un complesso sistema impiantistico con diverse linee di lavorazione che da un lato non richiede la separazione a monte del rifiuto e dall’altro ridurebbe notevolmente il conferimento degli scarti in discarica.
Questa sarebbe una soluzione strategica rivoluzionaria, se dovesse funzionare operativamente, nel senso che l’obiettivo da conseguire è particolarmente teso, non tanto a praticare la differenziazione del rifiuto, ma al riutilizzo dei materiali e al riciclaggio completo del compost derivante dalla lavorazione a livelli percentuali elevati, oltre il 65% come richiesto dalle disposizioni legislative vigenti. Ma, se dovesse funzionare questa nuova tecnica, tutta quanta l’operazione condotta finora per introdurre la raccolta porta a porta, cosiddetta spinta, che ormai è stata approntata in quasi tutti i Comuni compresi nell’area metropolitana, salterebbe per aria. Certamente una soluzione del genere troverebbe notevole gradimento presso i cittadini che, a malincuore, hanno accolto in casa tutta quella serie di ingombranti contenitori di plastica e che sono stati sollecitati ad impegnarsi ad un lavoro assiduo e continuo di selezione e di corretta consegna del rifiuto.
Concludendo, non si può fare a meno di rimarcare che questa sospensione a Giovinazzo è sempre connessa ad uno stato emergenziale che dura ormai da decenni e che ha segnato un indice di differenziata molto scadente. A parte i forti contrasti politici e gli scambi di accuse di inefficienze cui si è assistito, a livello locale, tra Depalma contro Natalicchio e, pure a livello regionale, tra gli stessi governatori, Emiliano contro il suo predecessore Vendola.
Ora, piuttosto, con la nuova organizzazione gestionale, decisa questa estate dall’Assemblea Regionale, si attendono i rinnovati indirizzi strategici che saranno definiti su input dell’Autorità unica per la gestione del ciclo dei rifiuti in termini di una diversa pianificazione dei flussi dei rifiuti stessi e di localizzazione degli impianti di trasformazione che necessiterebbero sul territorio regionale e della loro specificità impiantistica. Si conoscerà, solo allora, quali sono le intenzioni pianificatorie del dott. Gianfranco Grandaliano, nominato da Emiliano commissario di quell’unica Agenzia al posto degli ATO, a base provinciale, e forse si saprà qualcosa di più in ordine al destino dell’Impianto di biostabilizzazione di San Pietro Pago, mai realizzato dalla Daneco S.p.a..
E nel frattempo? Non c’è da sperare niente di meglio:l’organico differenziato è trattato come l’indifferenziato. Si ridurrebbe a questo l’innovazione sconvolgente tanto propagandata!.
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