MA SIAMO IN MANO A GIUDICI, LEGALI, CONSULENTI URBANISTICI, PIANIFICATORI TERRITORIALI ED ESPERTI VARI.
“Non stiamo con le mani in mano”!. E’ quanto scrive e va ripetendo il Sindaco Depalma in ogni occasione a significare che il suo governo si sta impegnando su ogni fronte per conseguire i risultati promessi. Lo ha fatto pure in occasione dell’incontro pubblico da lui voluto qualche giorno fa per fare il punto sull’annosa vicenda della Zona di Artigianato e Servizio D1.1, e dei complicati riverberi giudiziari che trascina dietro, tanto da ridurre l’intero comprensorio ai limiti della vivibilità. Ebbene quel consesso, cui hanno relazionato esperti di pianificazione urbana, avvocati e consulenti allo scopo di dare chiarificazione dell’impasse giudiziario che blocca l’intera maglia urbana, ha rappresentato in tutta evidenza quello che è il costrutto dell’ attuale conduzione gestionale.
Perché, a me sembra, che non si trovi agire di Depalma, sul piano operativo o amministrativo, che non sia incappato in vertenze giudiziarie o, comunque, intrapreso dietro suggerimenti di professionisti esterni e di consultazioni tecnico-legali. La stessa questione D.1.1, per quanto è emerso dalle inappuntabili esposizioni dei professionisti cui Depalma si è affidato, rimarrebbe completamente inchiodata, ancora per molto, senza alcuna possibilità di un eventuale recupero urbanistico con una appropriata regolamentazione edilizia dei manufatti ormai in essere. Ciò, fintanto che la magistratura non avrà fatto il suo corso completo sia per circoscrivere le responsabilità penali con la conferma o meno della sanzione accessoria della confisca degli immobili, sia per riconoscere la fondatezza delle conseguenti azioni risarcitorie che parrebbero essere già scattate. Tempo, dunque, ne passerà, prima ancora che si possa aprire uno spiraglio per il riordino urbanistico di quel vasto ambito territoriale e, così, portare a termine i tanti edifici rimasti incompiuti a causa dei vincoli giudiziari.
Sarebbe questa la regione di fondo per cui il Sindaco non ha perso tempo ad incaricare il legale dell’Ente a costituire il Comune parte civile, anche nei giudizi di appello alla sentenza di condanna in primo grado. Proprio a questo riguardo veniva spiegato in quella sede agli intervenuti che il Comune si è dovuto costituire parte civile nei confronti degli imputati allo scopo di garantire il rispetto degli strumenti urbanistici che si è dato, a tutela dell’intera collettività cittadina. Insomma, è chiaro che si vuole attendere il verdetto della magistratura a che non rimangano impuniti quei grossolani azzardi edilizi, e al tempo stesso per acquisire una qualche possibile indicazione di piano per una ridefinizione dell’edilizia in quell’area compromessa nel suo originario assetto funzionale. E la Politica, quella con la P maiuscola, che fa? E’ completamente latitante: le varie formazioni partitiche cittadine sembrano rassegnate a dover sottostare a una qualche soluzione che ritengono fuori dalla loro portata, per cui la loro sola preoccupazione è di rimanere al riparo da accuse di inefficienza operativa e da giudizi negativi sul loro conto, comunque, pregiudizievoli per i risultati dei prossimi appuntamenti elettorali. Ci si accapiglia, piuttosto, con infuocati dibatti a distanza, su partite di poco conto, si acuiscono sempre più i contrasti in seno all’Assise comunale, spesso anche con accuse velenose, circa provvedimenti, a volte insignificanti per il bene della città. Per contro, riguardo alla D.1.1 non si appalesa alcun proposito conciliativo che possa favorire un terreno dialettico di comune approfondimento e al tempo stesso di analisi e ricerca di una rimodulazione funzionale dell’area, utile a disinnescare una situazione di immobilismo completamente disastrosa per l’economia cittadina.
Questa vicenda, così contorta e deflagrante per le conseguenze gravi che sta riverberando a più livelli, non doveva forse chiamare in causa tutte le parti politiche perché, con grande senso di responsabilità, si ritrovassero insieme a valutare seriamente lo scenario che ne è conseguito al sentenziare dell’autorità giudiziaria al fine di trovare un condiviso rimedio equo e ragionevole? Capaci solo di rimpallarsi colpe ed addebiti di ogni tipo come se questo disastro non sia dipeso da fattori riconducibili al concerto di indirizzo politico che all’epoca era stato inteso e deliberamente assentito, anche dall’Assemblea Consiliare, riguardo ad anomali canoni di fabbricabilità e a varianti finalità costruttive della Zona incriminata. Forse si possa ritenere esente da censure e contestazioni di colpevolezza quell’intera classe politica che ebbe a convenire tali improprie formule urbanistiche che poi sono state oggetto di condanna penale nei confronti di una così vasta platea di imputati: proprietari dei suoli, tecnici progettisti, imprese edilizie, acquirenti delle rispettive costruzioni e, perfino, gli stessi funzionari comunali che si allinearono alla rimodulazione del piano di zona, più rispondente alle generali convenienze speculative del momento, a tutti ben note. Si dice ora che è diritto-dovere del Comune agire in difesa dell’interesse generale della collettività a salvaguardia proprio degli strumenti urbanistici che a suo tempo sono stati concepiti per lo sviluppo edilizio cittadino.
Principio sacrosanto. Tuttavia, se l’interesse da difendere afferisce all’entità collettiva nelle sue molteplici proiezioni socio-economiche, come mai la costituzione di parte civile del Comune, tanto nella fase procedimentale di primo grado, quanto in quella di appello, non è passata al vaglio dalla Assise consiliare e della competente Commissione consiliare?. Perché il Consiglio Comunale non è stato giammai investito di questa importante decisione?. Eppure la vertenzialità in essere ha a riguardare una larga schiera di cittadini a vari livelli di riferimento di relazionalità con l’Ente comunale. Non si tratta, infatti, di un procedimento singolo, o come dire, ordinario, bensì articolato e complesso, perché coinvolge, a titolo diverso, accusatati (ben 167) appartenenti alle più disparate classi sociali e a diverse posizioni professionali, le cui implicanze, per quello che è il profilo giudiziario del Comune, parte offesa, si concretizzano in una consistente pretesa risarcitoria in danno a coloro che dovessero essere riconosciuti definitivamente colpevoli. Non lo ha fatto, allora, Natalicchio, e neppure Depalma. Entrambi si sono avvalsi delle facoltà consentite genericamente all’Esecutivo in materia di proposizione e di resistenza in procedimenti giudiziari, giusto appunto per una formale tutela del proprio ufficio. E, per questo Depalma, si è lasciato andare ad affermare di fronte alla assemblea che è suo vivo auspicio che venga riconsiderata nei confronti degli imputati la violazione loro ascritta di lottizzazione abusiva per poter ricondurre a parametri meno esosi l’azione risarcitoria del Comune e poter sperare in un futuro che possa recuperare le condizioni di agibilità sia di ogni singola unita immobiliare sia dell’intera Zona D.1.1.
Sempre nel corso del dibattimento poi non è neppure mancato un espresso rilievo alla precedente Amministrazione per non aver intravisto, anche con il supporto del suo esperto legale, in quelle procedure edilizie di fabbricazione della Zona D.1.1, il configurarsi degli estremi di una lottizzazione abusiva e non essersi attivata a stroncare quelle forme di edificazioni sospette per le evidenti difformità con le specifiche edilizie previste per quella maglia urbana. Certo non si può dissentire con la tesi secondo cui la correzione, o meglio il prevenire, certe situazioni illecite, specie nel campo edilizio, sia opera dell’Ordine esecutivo e non della magistratura. Non è compito del giudice occuparsi della prevenzione di fatti che possono ingenerare reati di specie in danno alla Pubblica Amministrazione, quello spetta, o dovrebbe spettare, appunto alla politica nel suo ruolo di direzione e governo della cosa pubblica e, quindi, mostrarsi all’altezza di evitare i guasti che affliggono le città per le tante forme speculative che rimangono impunite.
Questa è un’indiscutibile linea di principio che va ribadita e tratteggiata al Sindaco Depalma perché in quel comprensorio della contrada Zurlo gli abusi non hanno a riguardare la gran parte delle costruzioni edilizie che sono state edificate, o ancora in corso di realizzazione. C’è anche lo scalo intermodale merci della “Lugo Terminal S.p.A.” che è insediato sul sito in un’area di proprietà ferroviaria al di fuori di ogni previsione del Piano Regolatore cittadino. Anzi quel complesso impianto, dotato di recente ampliato nel suo fascio di binari, allacciato alla stazione ferroviaria, e di un vasto piazzale per la movimentazione e la sosta delle unità di carico e di stoccaggio di merci alla rinfusa anche pericolose, occupa in parte suoli che erano stati inclusi in piani di lottizzazione per la costruzioni di edifici per l’artigianato e servizio sempre nel contesto della Zona D.1.1.
Come si sia potuto violare la disciplina urbanistica prevista per quelle aree che erano state dismesse dal sistema di circolazione dei treni, non è dato saperlo. Certo è che lo scalo è una realtà infrastrutturale privata funzionante a pieno ritmo ma che stride con il tessuto urbano cui è inserito. Ma il paradosso sta nel fatto che una attività altamente rischiosa, come la movimentazione delle merci nel sistema del combinato ferroviario, si è impiantata in quella località senza una preventiva autorizzazione comunale né tanto meno di una verifica di compatibilità ambientale con il contesto urbano di cui è parte. Senza dire che, se è vero che sul piano della movimentazione dei rotabili la società ferroviaria, dietro garanzie di rispetto delle condizioni e delle norme di trasporto, ha autorizzato le attività di carico e scarico dei vagoni e relativo trasbordo delle merci anche quelle pericolose di specifiche categorie, non sembra, però, sia stato approntato un piano si sicurezza per ciò che attiene al rischio connesso alle attività di piazzale sull’ambiente esterno, cioè sull’abitato adiacente, appena oltre il muro di cinta.
Depalma dovrebbe essere a conoscenza di questa situazione del tutto controversa, anche perché ha dovuto interessarsi della Lugo Terminal a seguito della inclusione dello impianto di Giovinazzo nell’elenco degli scali ammessi dal vettore ferroviario a trattare la movimentazione delle merci pericolose di un certo regime. Ma lui, come del resto lo stesso Natalicchio, si astiene da ogni presa di posizione che possa rivelarsi indispensabile per la tutela della sicurezza e la salute dei cittadini. Magari verrà a dirci che ha indotto il dirigente della Polizia urbana a disciplinare con una Ordinanza il grande flusso dei mezzi camionistici secondo un tracciato alternato in entrata ed in uscita dall’impianto, accessibile da un solo varco sul piazzale, peraltro, diverso da quello originario, ritenuto non adatto dall’operatore logistico. Basta questo ad attenuare i rischi di incidenti stradali dipendenti dalla intensa circolazione di camion di grande capacità sulle strade cittadine?.
Ma a noi viene anche da chiedere in che termini e con quali modalità la Lugo Terminal è chiamata a corrispondere al Comune il ristoro per un sì grave asservimento dell’ambiente circostante all’operatività dello scalo in cui si muovono grossi mezzi di sollevamento, si concretano le operazioni di terminalizzazione delle merci e si organizzano i servizi accessori di supporto all’attività principale: ufficio per il disbrigo delle pratiche trasportistiche, ambienti di lavoro del personale, aree di sosta e riparazione dei mezzi meccanici, deposito di carburante. Logiche accorte di pianificazione territoriale di proposito portano ad allocare dette infrastrutture di logistica per il bimodale strada-rotaia in aree interportuali o a vocazione industriale sempre raccordate alla rete ferroviaria e, comunque, distanti dalle circoscrizioni urbane m con dirette connessioni ad arterie di grande scorrimento e/o a strade extraurbane. A Giovinazzo, invece, si è lasciato che quella struttura insorgesse proprio in una zona in via di espansione urbana, facendoci credere che sarebbe stata al servizio della realizzando centro di produzione artigianale che non c’è.
Una vera aberrazione: un’altra grave violazione della disciplina urbanistica del Comune alla pari degli altri illeciti che sono sottoposti a giudizio penale. A chi spetta risanare tale stortura?
Non sarà che anche per un riscontro di regolarità insediativa di quell’impianto in detta zona non pianificata a tale scopo, come pure per una assicurazione circa la reale sussistenza di certificazioni delle condizioni di garanzie, a salvaguardia della salute pubblica, dai rischi dell’attività della Lugo Terminal, debba invocarsi l’opera della magistratura?.
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