Fino a quando è previsto l'obbligo?
Negli ultimi due appuntamenti della rubrica “Diritto di difesa” abbiamo, come ricorderete, affrontato alcune delle più rilevanti questioni legate alla tematica della separazione e del divorzio, concentrandoci prima sui nuovi criteri di determinazione dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge e, poi, sulla valutazione da dare, in sede di processo, alla capacità lavorativa dell'ex coniuge in rapporto al diritto all'assegno stesso. A ben guardare, il nucleo principale, il cuore delle questioni affrontate attiene, sostanzialmente, al dovere di mantenimento e a come questo si sviluppi all'interno del nucleo familiare. Vogliamo, in questo nuovo appuntamento, completare il discorso avviato spostando l'attenzione, questa volta, sugli altri protagonisti della vita familiare, ovvero i figli e su quali siano i loro diritti in riferimento al mantenimento. Il raggiungimento della maggiore età determina la perdita del diritto al mantenimento? Fino a quando hanno diritto di essere aiutati economicamente dai genitori? Si tratta, come è facile intuire, di un tema assai delicato, ancor di più se consideriamo i gravi tempi di crisi del lavoro che, come ognuno di noi sa, coinvolgono in particolare la fascia più giovane della popolazione. Cerchiamo, quindi, di capire cosa dice la legge a tal riguardo.
Il dovere di mantenere i figli nasce già con il matrimonio. Chiunque abbia assistito ad una cerimonia nuziale si ricorderà, tra i i vari momenti lieti ed emozionanti, che, ad un certo momento del rito, il celebrante (prete o pubblico ufficiale che sia) dà lettura degli articoli del codice civile inerenti il matrimonio, dai quali discende l'obbligo di ambedue i coniugi di mantenere, educare, istruire ed assistere moralmente i figli (art. 147 codice civile). Il diritto al mantenimento, in realtà, prescinde dal matrimonio ed è riconosciuto ad ogni figlio, anche se nato fuori dal matrimonio stesso, essendo ormai un diritto assoluto dei figli quello di essere mantenuti, educati ed istruiti nel rispetto delle proprie capacità ed inclinazioni naturali (art. 315 bis codice civile). Ma fino a quando si estende questo diritto?
A questo riguardo, è opportuno, fin da subito, chiarire che il dovere di mantenimento dei figli non cessa a seguito del semplice raggiungimento della maggiore età, essendo, invece, necessario che il figlio raggiunga la propria indipendenza economica. Più precisamente, secondo i giudici, il mantenimento deve necessariamente continuare sino a che il figlio, pur maggiorenne, sia messo nelle condizioni di reperire un lavoro idoneo a sopperire alle normali esigenze di vita ovvero quando abbia ricevuto la possibilità di conseguire un titolo di studio sufficiente ad esercitare un'attività lucrativa; il mantenimento può, altresì, cessare anche quando la prole abbia raggiunto un'età tale da far presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stessa. Dobbiamo dedurne, quindi, che l'obbligo di mantenimento permane, in buona sostanza, fino a che il figlio non sia in grado di provvedere in modo autonomo alle proprie esigenze.
Ciò posto in linea di principio, dobbiamo chiederci a chi spetti dimostrare che questa autosufficienza economica sia stata effettivamente raggiunta. La giurisprudenza è concorde nell'affermare che il dovere di dar prova dell'indipendenza economica spetti al genitore che intenda cessare il mantenimento. Ma cerchiamo di chiarire meglio cosa, realmente, debba essere provato, in modo da dare concretezza ai principi teorici sopra enunciati.
Scendendo più nel dettaglio, il genitore obbligato al mantenimento dovrà, in sostanza, dare prova o della effettiva indipendenza economica raggiunta dal figlio, dimostrando che, ad esempio, lo stesso svolge un lavoro che gli consente di poter provvedere ai propri fondamentali bisogni oppure (ed è questa l'ipotesi più controversa ed attuale), che lo stesso, pur messo nelle condizioni di lavorare, non provveda, per sua colpevole ed ingiustificata inerzia, ad attivarsi realmente per reperire un lavoro idoneo e conforme alle sue capacità ed alle sue competenze. In questo senso, può avere efficacia determinante, sul piano giuridico, la prova del rifiuto ingiustificato, da parte del figlio, di proposte di lavoro ricevute. Come si vede, si tratta di una prova non semplice.
Ma cosa accade se la prova non viene data o è particolarmente contestata? Quest'ultimo caso è stato analizzato da una recente pronuncia del Tribunale di Roma in cui si è stabilito che, quando manchi la concreta prova della colpevole inerzia del figlio, “l'oggettiva e notoria situazione del mercato del lavoro, con tassi disoccupazione elevatissimi tra i giovani, fa presuntivamente ritenere che la mancanza di lavoro sia incolpevole”. É, come può vedersi, una sentenza di estrema importanza, figlia del periodo di grave precarietà che colpisce i soggetti più giovani. Si può, quindi, affermare che, se in un contesto sano, deve attribuirsi all'inerzia del figlio la mancanza di un posto di lavoro, in tempi di crisi questo principio si attutisce fortemente sino a ritenere, in linea generale, che la mancanza di un lavoro dipenda, invece, dal complessivo stato del mercato del lavoro.
Pertanto, in ogni ipotesi in cui sia in discussione il diritto al mantenimento in favore dei figli maggiorenni e, magari, non più giovanissimi, sarà bene valutare con estrema attenzione se sussista davvero l'indipendenza dello stesso o la sua inerzia colpevole. In ogni caso, trattandosi di valutazioni estremamente complesse e delicate, anche per gli inevitabili effetti sul piano affettivo, il consiglio, come sempre, non può che essere quello di sottoporre ogni dubbio all'attenzione del legale di fiducia per poter lucidamente analizzare tutti gli aspetti della singola vicenda.
Vi diamo appuntamento alla prossima settimana per il nuovo appuntamento della rubrica “Diritto di difesa”.
Michele Ragone
Avvocato