Quanto incide sul diritto all'assegno di divorzio?
Come i nostri lettori ricorderanno, nell'ultimo appuntamento della rubrica “Diritto di difesa” abbiamo affrontato la sempre tormentata tematica del divorzio, dando particolare attenzione alle storiche ed importantissime novità che in questa materia si stanno registrando ad opera delle più recenti sentenze. Più in dettaglio, abbiamo potuto evidenziare il decisivo passaggio dal precedente criterio utilizzato per determinare l'assegno di divorzio, basato sul mantenimento dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, a quello, nuovo, dell'indipendenza economica, in virtù del quale dovrà negarsi l'assegno ogni volta che il coniuge economicamente più debole abbia una propria autosufficienza economica, senza che a nulla più rilevi il precedente tenore di vita. Abbiamo anche potuto sottolineare come, in questa valutazione, tra i vari indici da considerare dovrà darsi peculiare rilievo anche alla capacità lavorativa dell'ex coniuge, circostanza spesso controversa nelle aule di tribunale. Ed è proprio questo aspetto che vogliamo, in questo appuntamento, approfondire, in continuità con il precedente intervento. Segnaliamo, anche qui, una recente pronuncia della Cassazione (n. 25697/2017, pubblicata il 27 ottobre scorso) che ha potuto chiarire in che termini l'attitudine al lavoro dell'ex coniuge possa incidere sul diritto all'assegno. Vediamo, quindi, cosa è possibile desumere dalla pronuncia.
Nella vicenda in esame, i supremi giudici hanno potuto sottolineare che laddove, nel corso di un giudizio di divorzio, sia avanzata la domanda di assegno divorzile (in aggiunta a quello in favore degli eventuali figli), il giudice chiamato a decidere dovrà necessariamente tenere in considerazione l'attitudine a svolgere un'attività lavorativa da parte del coniuge che lo richieda, trattandosi di un elemento decisivo ai fini della statuizione finale, di cui, pertanto, non può essere omessa la valutazione.
Stabilita, quindi, la reale ed effettiva rilevanza che tale circostanza deve necessariamente avere nel processo, passiamo al merito. Quanto, nel concreto, conta l'inerzia dell'ex coniuge? Come valutare l'incidenza della capacità lavorativa ai fini del diritto all'assegno divorzile? Nel tentativo di dare risposta a questi quesiti, non possiamo che rifarci ai principi di volta in volta espressi dai giudici nella prassi quotidiana. In primo luogo, ciò che dovrà essere oggetto di valutazione sarà la concreta attitudine del coniuge a procurarsi un reddito da lavoro proprio, intesa come effettiva possibilità di svolgere un lavoro retribuito. Tale analisi non dovrà essere compiuta su basi astratte ed ipotetiche, ma tenendo conto dei concreti fattori individuali ed ambientali. Avranno, quindi rilievo, innanzitutto le circostanze attinenti al singolo soggetto che richieda l'assegno, ovvero la sua età, le condizioni di salute, il titolo di studio in possesso, le eventuali pregresse esperienze lavorative, anche saltuarie, nonché l'età degli eventuali figli, estendendo la valutazione, poi ai fattori ambientali, ossia il contesto di riferimento per valutare la concrete possibilità di lavoro offerte dal territorio. Sulla base di tali principi è possibile affermare che, in linea generale, può sussistere la concreta capacità lavorativa nelle ipotesi in cui l'ex coniuge sia relativamente giovane, in buona salute ed in possesso di un idoneo titolo di studio che possa essere messo a frutto per trovare lavoro, soprattutto se i figli in affidamento non sono più piccoli e non necessitano, quindi, della costante presenza dell'adulto. Un elemento molto importante da non ignorare è l'eventuale rifiuto di proposte lavorative da parte dell'ex coniuge, giacché, se questa circostanza viene provata in sede di giudizio e se il rifiuto appare ingiustificato, vi sarebbe una rilevante prova della colpevole inerzia da parte del richiedente l'assegno. In tal caso, infatti, il rifiuto di una concreta opportunità lavorativa potrebbe essere interpretato dai giudici come prova della non avvertita necessità di un reddito, giustificando l'esclusione del coniuge inattivo dal diritto al mantenimento.
Sulla scorta di siffatti principi, è evidente che l'assegno possa essere negato, o, comunque, ridimensionato, in tutti i casi in cui il coniuge che lo richieda non attivi concretamente le proprie risorse per garantirsi un reddito proprio, a meno che non riesca a dimostrare o una comprovata inabilità o, comunque una difficoltà oggettiva di inserimento nel mercato del lavoro che non dipenda da un colpevole atteggiamento di inerzia o dalla incapacità di adattarsi alle richieste del mercato del lavoro.
Come si vede, i principi esposti, frutto di anni di prassi giudiziale, rivestono grande utilità ma non forniscono una regola assoluta che possa prestabilire in anticipo quando l'assegno spetti e quando, invece, debba essere negato. Tutti i fattori che andranno valutati per accertare la reale capacità lavorativa del coniuge dovranno necessariamente essere vagliati caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie concreta. Il consiglio, quindi, non può che essere quello di sottoporre le singole questioni all'attenzione del legale di fiducia, por poter pervenire ad un ragionevole inquadramento delle possibilità offerte nel caso concreto.
Continueremo, nei successivi appuntamenti della rubrica, ad aggiornarvi su tutti gli altri aspetti da tenere d'occhio nelle cause di separazione e divorzio.
Alla prossima settimana per il nuovo appuntamento della rubrica.
Michele Ragone
Avvocato