QUALE IL SENSO DELLA PRESENZA DEI CATTOLICI NELLA CONDIZIONE POLITICA CITTADINA?
So bene che mi appropinquo a percorrere un sentiero che conduce a un territorio esperenziale controverso qual è quello cui a lungo, in questi ultimi decenni, il mondo cattolico si dibatte circa una sua presenza laica a rilevanza pubblica, matrice di un’eventuale cultura politica e, quindi, di possibili proposte valoriali e proiezioni etiche che facciano risaltare una condotta sociale rivolta a comprendere e gestire la complicata condizione storica del nostro tempo. E questo dopo la definitiva archiviazione dell’ipotesi di ricreare un’entità politica come partito cattolico, a mò della tramontata Democrazia Cristiana, e della maturata convinzione che i cattolici debbano fare politica all’interno dei tanti partiti, specie quelli a maggior consenso elettorale che in qualche modo sono al governo della cosa pubblica.
Affronto questa questione dopo aver seguito indirettamente il dibattito che si è acceso a distanza tra il Vice-Sindaco Michele Sollecito, proveniente dall’associazionismo cattolico e ora promotore di “Next Giovinazzo”, uno dei tanti movimenti o gruppi di avanguardia che sono venuti già allo scoperto in vista della prossima campagna elettorale, e “l’Osservatorio per la Legalità e per la difesa del Bene comune”, compagine di estrazione diocesana, ritenuto sponsorizzatore della lista “PrimaVera-Alternativa”. Ho inteso occuparmi di questo caso, d’improvviso d’attualità, che per l’accadere in prossimità della bagarre elettorale, rappresenta, anche in casa nostra, il tentativo più avanzato di dar coso al Progetto Culturale della Chiesa cattolica, messo a punto dal Cardinale Camillo Ruini quando era al vertice della CEI, e validato dalle gerarchie ecclesiastiche al IV Convegno nazionale di Verona nel 2006, dal titolo “Testimoni di Gesù risorto, speranza nel mondo”. Nell’articolato delle cinque aree tematiche, dibattute in quel consesso, il Progetto dispiegava lo sguardo ad ampio respiro anche sul rapporto Chiesa-mondo, prefigurando la cosiddetta “scelta religiosa” che disegnava il ruolo pubblico della fede cristiana mediante la presenza dei fedeli laici sempre più attivi in campo politico. I laici erano sollecitati, infatti, a formarsi adeguatamente per mettersi in gioco con deciso impegno partecipativo nella galassia di partiti e movimenti, piuttosto che ricostituire un raggruppamento esplicitamente cattolico, ormai, non più comprensibile dalla popolazione. Ci si auspicava, così, che con l’inserirsi delle forze cattoliche nell’ambito degli organismi vari di partiti si sarebbe potuto arrivare, anche in via trasversale, al formarsi di un’ampia tendenza valoriale cristiana nel nuovo panorama politico che allora andava delineandosi dopo l’avvento della seconda Repubblica. Quanto questo risultato possa essersi realizzato, in tutti questi anni, lascio al lettore valutarlo, considerata l’usura delle forme tradizionali della politica italiana e, pure, europea, nel cui scenario i politici che si definiscono cattolici, il più delle volte, sono divisi e di diversa veduta sui principi fondamentali dell’impegno politico che la Chiesa ha descritto con gli enunciati della Dottrina sociale.
Per quel che ci riguarda da vicino, non si può negare che in precedenza non ci fossero già state in loco avvisaglie di un’insorgente competitività per instaurare l’ormai consolidata strategica ecclesiale tra il Sollecito, cattolico ed esponente di rilievo della Giunta Depalma, e lo stesso Osservatorio per la legalità. Quest’ultimo, recentemente sorto, in sintonia con la Vicaria cittadina, a presidio civico per controbattere le tante anomalie della gestione Depalma in materia di tutela ambientale, di scelte urbanistiche e d’imposizione fiscale, avvertite da più settori della civica comunità. Potrebbe apparire di poco conto la sostanza della diatriba che ormai distanzia queste due anime del laicato cattolico che pur vantano di ispirarsi nel loro impegno pubblico all’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa; tant’è che il diverbio non sembra abbia aperto un qualche spiraglio di attenzione da parte degli osservatori locali né tanto meno degli stessi organismi politici cui, ormai, gli attori in campo sono schierati. A me, invece, pare che la contrapposizione che si è ora nettamente evidenziata e che accompagnerà certamente tutto il corso della battaglia elettorale e, quindi, anche i riflessi del voto, riverberi, in qualche modo, le sospette ambiguità delle ingerenze cattoliche nell’azione amministrativa e/o attività di governo, originate per lo più dall’operare pubblico di laici devoti, specie se inseriti in fazioni politiche di tendenza diversa. Un fenomeno che, di recente, opinionisti e politologi hanno ravvisato essere il prodotto della “democristianizzazione” riscontrabile in ogni formazione di potere ove propugnatori di formule di derivazione confessionale vogliono avere un futuro politico, dando spazio, perfino, a influenze di clericalismo. Veniamo, dunque, al nodo di questo bipolarismo cattolico cui, peraltro, entrambe le parti in cusa vantano di volersi dedicare politicamente a promuovere il bene comune come forma più alta della carità che rimane sempre, secondo la Dottrina della Chiesa, l’identità spirituale e culturale del cittadino di fede cristiana.
Il Sollecito, definitosi, nell’intervista resa a un giornale locale on-line, promotore di un laboratorio spin-off, ovvero un distaccamento indipendente ma trainante il movimento “Giovinazzo Città del Sole”, capeggiato da Depalma, interpellato, tra l’altro, sulla sponsorizzazione da parte dell’Osservatorio per la Legalità e conseguente partecipazione di suoi aderenti alla nascente lista civica “PimaVera-Alternativa” cui concorre anche “Sinistra e Libertà”, ha dichiarato decisamente sbagliata una simile alleanza politica che si è proposta ad amministrare la città. Ha chiarito con quella sua esternalizzazione che le istanze della fede cristiana espresse nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa cattolica di cui si fa portavoce pure l’Osservatorio, col sostegno della Vicaria e dell’Associazionismo ecclesiale cittadino, pur rintracciabili in altre collocazioni politiche, sarebbero difficilmente riscontrabili nelle linee programmatiche di “Sinistra e Libertà”. Mi pare di capire, stando all’avviso di Sollecito, che quell’apparentamento, a scopo dichiaratamente politico, verrebbe a tradire prorio quell’idea “politica” del Progetto culturale ecclesiale e, quindi, lo stesso modo di concepire i doveri civili che i cattolici, impegnati nell’ordine sociale e temporale, sono chiamati ad assolvere, guidati dalla coscienza cristiana che proviene loro dalla comprensione dei valori insiti nell’insegnamento della Chiesa.
A riscontro delle affermazioni di Sollecito, immediatamente, si è materializzata la replica dell’Osservatorio che non ha mancato di rimarcare che nella precedente competizione elettorale lui stesso, candidandosi nella lista civica di Depalma, ha fatto valere la sua appartenenza all’associazionismo cattolico per accaparrarsi il voto degli elettori di quell’estrazione. Ed ha pure rimarcato che Sollecito, proprio come rappresentante del mondo cattolico, nel ruolo di Vice-Sindaco: “Non ha perso occasione per screditare l’Osservatorio […]. Al punto da spingersi più volte a scrivere lettere pubbliche di richiamo, per i toni critici dell’Osservatorio sull’operato della sua Amministrazione (soprattutto sulla questione discarica) o a lamentarsi direttamente con i vertici della Chiesa”. Al tempo stesso l’Osservatorio ha ritenuto dover chiarire che i suoi membri, che liberamente hanno scelto di scendere in campo, candidandosi con quella lista insieme a esponenti di Sinistra e Libertà, sapranno operare corrispondendo al meglio con i valori del loro credo cristiano senza, comunque, compromettere con la loro eventuale partecipazione alla vita amministrativa il compito d’analisi critica esplicitata dall’Osservatorio nei confronti pure dell’Amministrazione che dovesse avvicendarsi, né tanto meno coinvolgere nella disputa politica le associazioni da cui provengono.
Come non vedere in questa contrapposizione, tutta interna al locale universo cattolico, il radicarsi di una polarizzazione di stampo elettoralistico, rivolta non già a imprimere una qualche linea d’indirizzo ideologico su alcune problematicità di particolare interesse, bensì a legittimare la propria posizione come la più coerente e credibile secondo i principi morali e i valori sostanziali cristiani nel dibattito culturale e politico, ormai avviato.
E’ mio convincimento che il perdurante screzio, alquanto disdicevole anche per le forme cui si alimenta, sconti il persistere nel nostro piccolo di una tradizionale idea “confessionale” della politica, distante dal dare un’illuminante definizione della vera identità spirituale e culturale del cittadino cattolico e dal significare che la politica non è potere o struttura sovrapposta alla vita civile, bensì è anzitutto dimensione interna alla comunità civile.
Non va, infatti, sottaciuto che l’ambito politico di ogni cittadino coincide con la “politicità” del vivere civile, per cui ognuno, specie il cattolico vero, non ha bisogno di “fare politica” perché è esso stesso un “soggetto politico”. E sa di esserlo quando si sente partecipe, in qualsiasi modo e a suo criterio, della vita di comunità, perchè di per sé si pone il problema della convivenza, del godimento di ciò che appartiene a tutti, della necessità di giustizia sociale, e di nutrire comprensione e sussidiarità solidale e, infine, per quello che più conta, della propensione a ogni possibile approccio con gli altri per accordarsi su traguardi e obiettivi importanti per la comunità nel suo insieme. Sarebbe questo lo spirito con cui ci si dobrebbe porre di fronte ad esigenze politiche di una comunità specie come la nostra che ha bisogno di risolvere tante questioni che richiedono concordanza d’intendimenti risolutivi. In questa prospettiva è inaccettabile la privatizzazione del nostro vivere civile, magari solo secondo lo schema impervio dell’insegnamento cristiano o di supposte teorie sperimentali di partiti o movimenti d’impostazione libertaria.
Ne deriva che la persona di fede cristiana, quanto alla politica, dovrebbe continuare a educare e sperimentare sapientemente il senso religioso del suo essere, della sua strutturale limitatezza e caducità esistenziale e, ancora, della sua convinta e testimoniante relazione con il Rivelatore del Padre cui si appella sempre fiducioso anche di fronte ad ostacoli e avversità sia personali sia collettivi. E, dunque, è questo tipo di coscienza che rende creativi, onesti, nobili e sensibili, anche in aperta dialettica con portatori di altre logiche e proposte ideologiche, per cui è difficile pensare che qualcosa di nuovo e degno possa affiorare, anche dal punto di vista cattolico, se non è viva tale sorgente interiore. La vita in un sistema politico democratico non potrebbe proficuamente svolgersi senza l’attivo, responsabile e generoso confronto propositivo che coinvolge gli altri, sia pure di appartenenza a compagini di diversità ideologica e complementarietà intuitiva, di forme e livelli d’incidenza di potere, di compiti e funzioni di ordine comunitario.
In tal senso appaino del tutto improprie le scaramucce innescate da Sollecito volendo screditare quei cattolici che scendono in campo candidandosi accanto a esponenti di un partito di sinistra che non è allineato con i principali valori cristiani. Come pure non posso fare a meno di pensare che non tutti i candidati che entreranno a far parte della lista “Next Giovinazzo” avranno a conformarsi all’identità spirituale ed etico-culturale cristiana che è propria del fondatore che, nell’esercitare la carica pubblica, dice di farlo con lo stile di politico coinvolto da “l’appassionarsi al bene comune con cognizione di causa”. Né posso dubitare che l’Osservatorio, per la sua dichiarata funzione di interprete della realtà ecclesiale locale, possa essere indotto a interferire anche incidentalmente nella conduzione amministrativa, qualora fossero eletti alcuni membri candidatisi nella discussa lista di PrimaVera-Alternatina, specie se questi dovessero assumere una qualche responsabilità funzionale. Sarebbe un errore grave se dovesse accadere qualcosa di questo genere, significherebbe negare la libertà di giudizio e di discernimento di quei cattolici nei cui confronti l’elettorato avrà dato fiducia e mandato a rappresentarlo nelle sedi decisionali della municipalità. Una tal eventualità la esclude a chiare lettere l’Ordinamento della Chiesa italiana che nella normazione dei rapporti con gli Organismi dello Stato italiano si è impegnata a riconoscere il principio della cosidetta “libertà reciproca”. Non è certo un caso che Benedetto XVI abbia formulato, non in un documento magisteriale bensì in una delle tante sue pubblicazioni di elaborazione filosofica e sociologico-politica, il suo pensiero a proposito della distinzione fra i caratteri e le funzioni del potere civile e i caratteri e le funzioni della Chiesa. Il testo in parola dal titolo “L’elogio della coscienza. La verità interroga il cuore” (Ed. Cantagalli, Siena 2009) a pag. 73 così riporta: “Non è lecito alla Chiesa trasformarsi in entità politica o voler agire in essa o per suo tramite come gruppo di pressione. Allora essa si muterebbe in Stato e darebbe forma così allo Stato assoluto dal quale essa deve invece mettere in guardia.[….]. La Chiesa deve restare al suo posto e non travalicare i limiti che sono propri altrettanto quanto deve fare lo Stato. Di quest’ultimo la Chiesa deve rispettare l’autonomia e la peculiare libertà, esattamente per potergli offrire il servizio di cui esso ha bisogno”.
Su questo registro si pone oltremodo anche l’attuale Papa che, da qualche tempo, raccomanda i Vescovi di evitare l’insorgere di una qualche forma di nuovo clericarismo che veda i cattolici e le rispettive organizzazioni laicali, persino, a mobilitarsi per fare pressione, anche con manifestazioni di piazza ed arroganti imposizioni, perchè l’azione di governo, nell’assunzione di scelte e determinazioni di ordine sociale, si traduca di fatto in sintonia con le indicazioni pastorali che provengono dalle sedi episcopali.
Un paradigma strategico nella contemporaneità storica del tutto fuorviante dal momento in cui, di frequente, si registrano sedicenti cattolici impegnati in cariche pubbliche, divisi nel ricercare soluzioni univoce e che, anzi, agiscono, nella loro autonomia di laici, con l’elaborare, ipotesi e formule decisionali, spesso contraddittorie, e non sempre corrispondenti a una visione cattolica delle cose.
E’, dunque, mia propensiore rilevare, qui, che lo appuntarsi pubblicamente l’etichetta di cattolico da parte di coloro che s’immmettono o che sono già nel circuito attivo della politica sia alquanto inappropriato se la loro prospettiva comportamentale si riduce a una sorta di “subordinazione clericale” che trovo, peraltro, diffuso nella nostra realtà. Particolarmente quando mi trovo a costatare che il loro impegno esorbita dall’analisi dei problemi socio-economici, della buona organizzazione della vita pubblica e della qualità dei servizi alla collettività, concentrati, come sono, solo ad accreditarsi la benevolenza delle autorità religiose, magari elargendo anche qualche beneficio a vario titolo.
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